Si mostrano in lieve ripresa stamane le quotazioni del petrolio. Il prezzo del Wti americano sale a 44,39 dollari al barile, quello del Brent a 46,53. La differenza tra i due è ora di poco più di 2 dollari, quando mediamente si attestava intorno ai 5-6 dollari nei mesi scorsi. Rispetto al picco dell’ottobre scorso, il Dipartimento dell’Energia di Washington ha trovato che i siti estrattivi attivi negli USA sono diminuiti del 59%, ma la produzione di greggio è scesa in America di appena il 5%.

Questi dati potrebbero sembrare contraddittori tra di loro, ma non è così. Le compagnie petrolifere americane hanno ridotto il numero dei pozzi dai quali estraggono petrolio, concentrandosi su quelli più remunerativi. Ciò le ha rese più efficienti, anche per mezzo dei 170 mila posti di lavoro tagliati nel settore, con la conseguenza che reggono oggi prezzi ben più bassi di quelli necessari fino allo scorso anno per pareggiare almeno i costi (livello di “break-even”). Le nuove estrazioni saranno, però, pari negli USA a 389 mila barili al giorno a settembre, il 39% in meno rispetto al novembre scorso.   APPROFONDISCI – https://www.investireoggi.it/economia/obama-autorizza-lexport-di-petrolio-usa-dopo-40-anni-ecco-cosa-cambia/  

L’Iran tornerà a breve sul mercato

Se  l’America si è resa velocemente più efficiente, l’Asia non è rimasta a guardare. Tra qualche mese, l’Iran sarà in grado di aumentare le esportazioni di greggio, grazie all’eliminazione delle sanzioni ONU, in seguito alla firma dell’accordo nucleare di luglio. Sul mercato ci saranno tra i 500 mila e il milione di barili al giorno in più, ma la domanda è dove saranno assorbiti in un mercato globale già in crisi di sovrapproduzione. La risposta è che tutti confidano nella Cina, che con i suoi 10,9 milioni di barili consumati quotidianamente rappresenta oltre l’11% della domanda mondiale. Il mercato cinese è terreno di battaglia tra i top players. Il maggiore esportatore verso l’economia asiatica è l’Arabia Saudita, che nel mese di luglio ha venduto qui oltre 4 milioni di barili al giorno, intorno alla metà delle sue esportazioni complessive.

Seguono l’Angola con circa 3,75 milioni di barili, la Russia poco di meno e l’Iran con 2,3 milioni.   APPROFONDISCI – https://www.investireoggi.it/economia/iran-e-accordo-sul-nucleare-giu-il-prezzo-del-petrolio-ecco-cosa-cambia/   E il ministro del Petrolio iraniano, Bijan Namdar Zanganeh, ha dichiarato il mese scorso che il suo paese si rivolgerà proprio all’Asia per il plus di esportazioni in programma dal 2016. Teheran vorrebbe che gli  altri membri dell’OPEC tagliassero le loro esportazioni, in modo da compensare il ritorno dell’Iran sul mercato a pieno regime. Se c’è una cosa che l’Arabia Saudita non permetterà mai è che il suo nemico geo-politico, l’Iran, conquisti quote di mercato a sue spese. Per questo, è già corsa da mesi in Cina ad accaparrarsi i contratti, che consentano a ciascuno di ritagliarsi una fetta sostanziosa della torta dei consumi dello sterminato paese asiatico. Ne beneficia proprio l’economia cinese, che coccolata da produttori sempre più numerosi e agguerriti, può sperare per ancora molto tempo di acquistare petrolio a quotazioni intorno ai valori attuali.   APPROFONDISCI – https://www.investireoggi.it/economia/larabia-saudita-al-test-del-petrolio-a-basso-prezzo-quanto-potra-resistere-alla-crisi/  

Il Venezuela si appella all’OPEC

In questo contesto suona alquanto fuori dal coro e quasi irrealistico l’appello lanciato nelle scorse ore dal presidente venezuelano Nicolas Maduro, che chiede all’OPEC di fissare una banda di oscillazione per i prezzi del petrolio, sulla base della quale sarà regolata di conseguenza la produzione. Caracas ha un disperato bisogno di quotazioni molto più elevate di quelle attuali. Non è un caso che Maduro abbia osservato che il mercato mondiale abbia già assorbito prezzi dai 100 ai 120 dollari al barile, mentre a 40 dollari la produzione non sarebbe remunerativa. Nei giorni scorsi, egli ha avuto un incontro con i ministri energetici del Golfo Persico nel Qatar, ma è caduta nel vuoto la sua richiesta di un vertice OPEC straordinario per sostenere le quotazioni.

In Asia non c’è intenzione di fare alcun favore a USA, Russia e Iran. La battaglia continua.   APPROFONDISCI – https://www.investireoggi.it/economia/petrolio-quotazioni-fino-a-20-per-goldman-sachs-scontro-sul-summit-opec/