Si torna a parlare di petrolio in questi giorni, dopo che le quotazioni del Brent sono scese ai minimi dal mese di aprile e sotto la soglia psicologica dei 70 dollari al barile, quando agli inizi di ottobre stavano virando verso i 90 dollari e si riteneva non lontano nel tempo potere riacciuffare i 100 dollari. Così non è stato e lo spettro di nuovi cali, pur temporanei, si fa più vivo che mai. Il greggio è utilizzato da tutte le economie del mondo per produrre energia, a sua volta necessaria per la produzione di beni e servizi, oltre che cruciale per il settore dei trasporti.

Ma di quanto ne abbiamo bisogno ogni giorno? E la tendenza al consumo cresce, diminuisce o è stabile? Abbiamo provato a rispondere a queste domande, concentrandoci sugli stati del G7. Trattasi non proprio esattamente più delle sette economie più ricche della Terra, se si considera che tra di esse non compaia la Cina, seconda al mondo per pil dopo gli USA, sebbene continuino a rappresentare gli stati realmente tra i più ricchi. Insieme, abbiamo calcolato che consumino un terzo del petrolio del pianeta, qualcosa come circa 33,3 milioni di barili al giorno nel 2017.

Fine dell’OPEC vicina, anche se l’Arabia Saudita smentisce l’addio al cartello del petrolio

I primi per consumi non potevano che essere gli USA con una domanda quotidiana di poco meno di 20 milioni di barili al giorno nella media dello scorso anno. Si consideri, però, che trattasi della prima economia mondiale con un pil stimato attualmente sopra i 20.000 miliardi di dollari, circa un quarto di quello dell’intero pianeta. Ebbene, gli americani nel 2017 hanno prodotto 2.662 dollari di ricchezza con un barile, più del doppio rispetto a 20 anni prima, quando con un barile erano in grado di produrre solo 1.266 dollari.

E gli altri partner del G7? Il Giappone ha consumato la media di 4 milioni di barili al giorno, riuscendo a produce per ciascuno di esso sui 378.400 yen (3.315 dollari al cambio odierno), molti più dei 253.000 del 1997.

Anche nel caso del Sol Levante, quindi, si registra una maggiore efficienza nei consumi energetici negli ultimi decenni. A seguire, la Germania: 2,45 milioni di barili al giorno e circa 3.670 euro di pil per barile, il doppio di 20 anni prima, quando il rapporto si fermava a 1.850 euro. Dati molto simili troviamo con la Francia, che di barili al giorno ne ha consumati nel 2017 solo 1,62 milioni, anche grazie al fatto che i tre quarti del suo fabbisogno energetico risultano soddisfatti dal nucleare. In termini di ricchezza, con un barile i francesi ne hanno prodotta 3.890 euro, più del doppio dei poco meno 1.800 euro del 1997.

Italia virtuosa sui consumi energetici

Anche il Regno Unito ha consumato circa 1,6 milioni di barili al giorno, producendo con ciascuno di questi quasi 3.500 sterline di ricchezza, circa 4.000 euro al cambio odierno. Nel 1997, i britannici con un barile di ricchezza ne producevano solo 1.275 sterline. E arriviamo all’Italia: domanda di appena 1,2 milioni di barili al giorno, la più bassa di tutto il G7. Eppure con ciascun barile siamo stati capaci di produrre 3.940 euro di pil, quasi il doppio dei 1.553 euro di 20 anni fa. La nostra economia, dunque, si mostra molto efficiente sul piano dei consumi energetici, al netto di ogni considerazione riguardo alla violenta crisi dell’ultimo decennio. Come vedremo, dopo avere preso in considerazione anche il Canada, nessun altro stato riesce tra le grandi economie a fare di più con un barile di greggio.

Ecco perché il boom delle quotazioni nuoce meno all’economia americana

E proprio il Canada risulta, invece, tra i meno efficienti: 2,43 milioni di barili consumati ogni giorno per una ricchezza prodotta per barile di appena 2.458 dollari locali, circa 1.650 dollari USA.

Molto meglio, in ogni caso, di 20 anni prima, quando con un barile produceva appena sui 1.000 dollari locali o “loonies” di ricchezza. Va precisato, però, che i canadesi hanno l’esigenza di fronteggiare temperature estreme in gran parte del loro territorio, per cui è normale che debbano consumare più energia per riscaldarsi rispetto a un italiano o un francese. Tra i fattori che influenzano, poi, l’uso intenso di petrolio o meno vi sono certamente l’andamento dell’economia e il settore trainante. Uno stato che produce molta ricchezza registra un fabbisogno più alto di uno che produce al di sotto del suo potenziale. E una cosa sarebbe, ad esempio, produrre perlopiù servizi bancari, assicurativi, finanziari in generale (ogni riferimento al Regno Unito è voluto), un’altra concentrarsi sul manifatturiero (Italia e Germania).

Aldilà di queste considerazioni, viene sfatato un mito abbastanza comune, che vorrebbe che l’Italia soffra di una dipendenza dal petrolio superiore alle altre principali economie avanzate. Non è affatto così. Anzi, scopriamo che ai prezzi attuali, il costo di un barile incide solamente per il 2% del nostro pil, meno del 2,1% della Francia e del 2,2% della Germania e del Giappone, ben meno del 2,5% di USA e Canada. Meglio di noi farebbero solo i sudditi di Sua Maestà con l’1,6%. In altre parole, siamo un’economia virtuosa sul piano energetico, benché certa stampa continui a dipingerci come un Paese sprecone, retrograde ed esposto a ogni intemperia sui mercati, petrolifero compreso. Certo, vanno precisati due dati per completezza: USA, Canada e Regno Unito sono economie produttrici di petrolio, Ottawa è persino esportatrice netta; per cui questi paesi si giovano almeno in parte dell’aumento delle quotazioni del petrolio. Infine, il netto miglioramento negli ultimi decenni nel rapporto tra ricchezza prodotta e barili consumati lo si deve non solo e non tanto alla maggiore efficienza energetica adottata dai rispettivi governi, quanto nel tipo di crescita registrato da economia mature, che si sono sempre più terziarizzate e, per quanto detto sopra, hanno avuto così bisogno di più petrolio in misura meno esponenziale rispetto ai ritmi di crescita del pil.

[email protected]