Chi lo avrebbe detto che il petrolio avrebbe battuto gli iPhone? Una risorsa che molti considerano il passato dell’economia mondiale ha superato in settimana uno dei prodotti di punta del presente e futuro dell’umanità. Aramco, la compagnia statale saudita, ha oltrepassato i 2.400 miliardi di dollari di capitalizzazione alla Borsa di Riad. Allo stesso tempo, Apple è scesa a 2.370 miliardi. La prima guadagna circa il 27% quest’anno, la seconda perde quasi il 20% e si allontana dai 3.000 miliardi di valore toccati a inizio 2022.

Perde così il primato di società più capitalizzata in borsa nel mondo. Quanto sta accadendo non è la semplice rivalità tra due colossi industriali, bensì la spia di un trend più generale.

Comparto tech colpito da stretta sui tassi

L’indice tecnologico del Dow Jones perde quest’anno intorno al 27%. Il rialzo dei tassi negli USA e presso le altre grandi economie avanzate sta scuotendo i titoli azionari che più hanno corso negli ultimi anni, sostenuti spesso dall’enorme liquidità generata dalle banche centrali. Viceversa, petrolio, gas, metalli industriali, terre rare e derrate alimentari stanno vivendo una fase estremamente positiva. Proprio il boom dei loro prezzi, provocato dalla relativa carenza sui mercati internazionali, ha spinto in alto l’inflazione. A sua volta, essa ha reso necessaria l’adozione della stretta monetaria.

In un certo senso, possiamo sintetizzare scrivendo che il successo in borsa di Aramco ha determinato il calo a doppia cifra di Apple. Il mondo ha scoperto che senza l’ultimo iPhone si può continuare a vivere, ma senza energia no. Aramco è stata quotata in borsa nel dicembre 2019. Sul mercato è stato offerto solo l’1,5% del capitale, consentendo allo stato saudita di incassare 29,4 miliardi di dollari. L’intera compagnia fu valorizzata 2.000 miliardi di dollari. Molti analisti dubitarono di tale valutazione. Adesso, essa risulta del 20% superiore.

Petrolio d’oro per i sauditi

Il buon andamento in borsa del titolo, che guadagna il 35% dall’IPO di neppure due anni e mezzo fa, potrebbe convincere la monarchia a mettere sul mercato un’altra fetta del capitale.

Ma l’ottima fase per le entrate statali rende tale esigenza poco avvertita per il momento. Non a caso, l’IPO fu teorizzata nel 2016, quando il petrolio si era schiantato sui mercati a causa dell’eccesso di offerta. D’altra parte, Apple paga anche le criticità legate alla catena di produzione. I lockdown cinesi, tra cui a Shanghai, stanno riducendo sia la produzione che le esportazioni di componenti tecnologiche. I ricavi di Cupertino potrebbero contrarsi fino a una decina di miliardi di dollari in questi mesi.

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