Petrolio sempre più caro sui mercati internazionali. Nella mattinata di oggi, un barile di Brent scambiava a poco meno di 88 dollari, il livello più alto dal settembre 2014, circa sette anni e mezzo a questa parte. E pensare che l’1 dicembre scorso, aveva toccato un minimo inferiore ai 69 dollari sui timori per la diffusione della variante Omicron. A surriscaldare adesso le quotazioni stanno concorrendo anche le tensioni geopolitiche. Nella giornata di ieri, i ribelli Houthi dello Yemen, sostenuti dall’Iran, hanno lanciato attacchi via drone contro gli Emirati Arabi Uniti, terzo produttore dell’OPEC.

Ad essere colpita è stata la periferia di Abu Dhabi, laddove un incendio è scoppiato nei pressi dell’aeroporto.

Il petrolio ha iniziato la sua corsa verso la fine del 2020, quando il mercato si era messo alle spalle la pandemia e aveva iniziato a scontare la ripresa della domanda dopo mesi di restrizioni globali anti-Covid e crollo dei consumi. Nel mese di aprile di due anni fa, le quotazioni erano scese fino a circa 16 dollari al barile e a quasi -40 dollari per il WTI americano.

Previsioni petrolio fino a 150 dollari al barile

Le previsioni dei vari analisti concordano sul fatto che il rally non sia finito, complici i bassi investimenti di questi anni, i quali stanno tenendo e terranno anche nel prossimo futuro bassa la produzione, a fronte di consumi in ulteriore ripresa. Secondo Morgan Stanley, il Brent sfonderà la soglia dei 90 dollari nel terzo trimestre di quest’anno. Per Goldman Sachs, invece, supererà i 100 dollari per quel periodo, mentre più estreme sono le previsioni di JP Morgan: 125 dollari al barile entro il 2022 e 150 dollari nel 2023.

Se le stime di quest’ultima banca americana fossero confermate, il petrolio salirebbe ai nuovi massimi storici. Ad oggi, il record spetta ai 146 dollari toccati nell’estate del 2008, prima che il crac di Lehman Brothers facesse precipitare le quotazioni fino a chiudere l’anno sotto i 45 dollari.

Un nuovo balzo si registrò nel 2014, quando schizzarono fino a 115 dollari. Di lì in avanti, però, ripiegarono per la crescente offerta fino a schiantarsi sotto i 30 dollari agli inizi del 2016.

Il caro petrolio non aiuta certo le banche centrali nella lotta all’inflazione, salita in molti casi ai massimi da diversi decenni a questa parte. Negli USA è già al 7%, il livello più alto dal 1982. Nell’Eurozona è al 5%, mai così alta da oltre venti anni. Un rialzo dei tassi impatterebbe indirettamente sulle quotazioni, frenando la crescita dei consumi e drenando liquidità sui mercati, parte della quale è impiegata in misura crescente nella speculazione finanziaria, che sta avendo ad oggetto anche le materie prime. E con i prezzi che si dirigono verso i 100 dollari, una stretta monetaria imminente sta diventando sempre più inevitabile.

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