Spread BTp-Bund a 10 anni sotto 220 punti base, il livello più basso dalla chiusura del 4 giugno e a -44 bp in appena una settimana. I rendimenti decennali dei nostri bond risultano scesi al 2,59%, mentre quelli a due anni allo 0,58%, in deciso calo rispetto ai livelli delle sedute precedenti. Non era molto immaginabile questo esito dopo l’annuncio del “tapering” da parte della BCE, che dimezzerà ancora gli acquisti di assets, tra cui titoli di stato dell’Eurozona, a 15 miliardi di euro al mese tra ottobre e dicembre, azzerandoli dal gennaio prossimo.

Come mai una mossa tendenzialmente ostile al mercato dei bond ne sta sostenendo i prezzi? Per quanto Francoforte metterà il freno agli stimoli, la politica monetaria resterà molto accomodante ancora a lungo, tra tassi fermi per almeno un anno e reimpieghi dei fondi derivanti dai titoli in scadenza per altri due anni.

Pazzo spread, cos’è successo ai rendimenti dei BTp negli ultimi giorni?

Esistono fattori tecnici a influire sui movimenti rialzisti dei prezzi (e ribassisti dei rendimenti). Gli investitori si muovono da un mercato all’altro sulla base dei livelli dei prezzi (rendimenti), appunto, ma anche delle variazioni attese del cambio. I nostri BTp sono acquistati non solo da famiglie e istituzioni finanziarie italiane, bensì pure da fondi esteri. La convenienza di questi ultimi nel puntare sui nostri bond dipende da quanto questi siano cari, tenuto conto del rischio sovrano. Ora, prendiamo un decennale italiano: è arrivato a rendere fino a un massimo del 3,33% a fine maggio sulle tensioni politiche legate alla nascita del governo Conte. Per contro, un decennale americano offre pressoché stabilmente il 3%, qualcosa più, qualcosa meno.

Da anni, siamo soliti misurare il livello dei nostri rendimenti in relazione a quelli “benchmark” tedeschi. Il cosiddetto spread riguarda BTp e Bund, ma bisogna ammettere che tale differenziale non sarebbe affatto indicativo del livello di appetibilità dei nostri titoli, almeno non esclusivamente.

Il mercato più liquido al mondo, come ha notato giorni fa Vito Lops su Il Sole 24 Ore, è quello dei Treasuries. Vale circa 15,4 mila miliardi di dollari, oltre 10 volte in più di quello dei Bund. Dunque, “comanda” l’America, non la Germania. E’ con i titoli del debito USA che dovremmo confrontare i nostri BTp per verificarne la relatività appetibilità. Nelle ultime settimane, i decennali tricolori hanno reso tanto quanto quelli a stelle e strisce e non a caso tale soglia non è stata superata stabilmente, visto che per i fondi stranieri investire sui primi è diventato allettante, tenuto conto dei rendimenti americani.

Il fattore cambio per i bond

C’è di più: a metà febbraio, quando il cambio euro-dollaro sfiorava 1,25, i BTp con scadenza settembre 2028 e cedola 4,75% quotavano 123,7, oggi sono scesi a 117,8 e con un cambio euro-dollaro ripiegato a 1,1550. In definitiva, per un investitore americano, i nostri decennali sono diventati meno cari del 12,5% in appena 4 mesi. E le prospettive sono diventate altrettanto allettanti. Ipotizziamo che il cambio euro-dollaro risalga ai livelli pre-QE, ovvero in area 1,40, da qui alla scadenza del bond in esame. Significa che un investitore USA guadagnerebbe oltre il 20% per il solo effetto cambio (i BTp emessi in euro varrebbero di più), pari a un rendimento medio annuo prossimo al 2%, al netto del rendimento offerto dal titolo in sé. In altre parole, potenzialmente i nostri BTp a 10 anni starebbero offrendo il 4,5-5% in prospettiva, ben più del 3% scarso dei bond americani. Naturale che attirino domanda, almeno fino a quando il mercato non si convincesse davvero che l’Italia uscirà dall’euro e/o che andrà in default.

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E negli ultimi 4 mesi, il fattore cambio ha determinato un rendimento extra di oltre l’1% all’anno per il prossimo decennio, fatte salve le considerazioni sopra esposte.

Più l’euro si indebolisce oggi e più i nostri titoli diventano a buon mercato e potenzialmente remunerativi con la ripresa del cambio nei prossimi anni. Non è un caso che a soffrire relativamente di più delle tensioni politiche siano stati i BTp biennali, visto che da qui alla scadenza (minore) appare meno probabile che l’euro si rafforzi a tal punto da remunerare un fondo straniero, in relazione ai rendimenti ben più generosi offerti dai bond americani della medesima longevità e pari al 2,5-2,6%. Servirebbe, infatti, che il cambio euro-dollaro si rafforzasse di oltre il 4% per rendere preferibili oggi i nostri titoli rispetto a quelli americani, un fatto certamente nel novero delle probabilità più che realistiche, ma l’imprevedibilità delle mosse delle banche centrali non autorizza a facili previsioni a breve. Pertanto, più debole l’euro in questi mesi, minore l’appetito dei fondi stranieri per i titoli a breve termine, ossia i BoT.

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