A giugno, l’inflazione in Italia è salita al nuovo record dal 1986 dell’8%. Se non ci fosse stato il taglio delle accise, probabile che si sarebbe attestata più prossima al 9%. Nel frattempo, il governo lo ha esteso fino al 2 agosto, ma con ogni probabilità lo prorogherà fino a quando i prezzi del petrolio non saranno scesi a livelli tali da rendere sostenibili i prezzi alla pompa. Il solo taglio delle accise costa allo stato circa 1 miliardo di euro all’anno, mentre il contrasto al caro bollette già ci sarebbe costato sui 20 miliardi dall’autunno scorso, incluso l’ultimo Decreto Aiuti.

E tra luglio e ottobre, 30 milioni di italiani riceveranno il bonus da 200 euro contro l’inflazione. Una goccia nel mare, senz’altro. Ad ogni modo, questo sarebbe dovuto essere lo strumento principale di sostegno alle famiglie contro il carovita.

Le misure del governo Draghi

Sin da quando i prezzi al consumo sono esplosi, trainati dal boom delle quotazioni energetiche e delle altre materie prime, il governo Draghi si è mosso coerentemente con una certa impostazione internazionale. Essa punta ad alleviare il costo dell’inflazione a carico delle fasce della popolazione socialmente più deboli. Grazie a questi interventi, abbiamo evitato di fare benzina a 2,50 euro al litro o che le famiglie con redditi bassi pagassero bollette di luce e gas per diverse centinaia di euro in più alla volta.

Il punto è che queste misure, pur socialmente apprezzabili, rischiano di tenere alta la domanda dei prodotti energetici, cioè anche le quotazioni internazionali di petrolio e gas. In sostanza, sta accadendo questo: i prezzi sono esplosi sui mercati e a farsene carico in molti casi sono stati i governi, i quali stanno indebitandosi per attutire le conseguenze a carico dei cittadini. Questi ultimi stanno avvertendo il peso dell’inflazione, visto che a rincarare sono sostanzialmente un po’ tutti i beni e servizi.

Ma senza il taglio delle accise e delle bollette, verosimilmente avrebbero ridotto i consumi, abbassando la domanda globale di petrolio e gas e favorendone la discesa dei prezzi.

Vi chiederete: OK, ma a quale costo sociale? In realtà, se i governi puntassero sui bonus contro l’inflazione, magari mirati alle fasce più sofferenti, offrirebbero ugualmente sostegno alle famiglie, ma sarebbero queste ultime a decidere come spenderli. Anziché tenere invariati i consumi di energia e carburante, probabilmente destinerebbero parte di tali entrate extra per sostenere altre tipologie di acquisto.

L’alternativa del bonus inflazione

In conclusione, anziché spendere sui 20-25 miliardi per i soli prodotti energetici e solo 6 per i bonus contro l’inflazione, lo stato avrebbe potuto destinare una trentina di miliardi solamente su questi ultimi. A parità di platea dei beneficiari, i cittadini avrebbero ricevuto 1.000 euro a testa, anziché i 200 promessi da luglio. Avrebbero così avuto modo di scegliere autonomamente cosa consumare, indebolendo la domanda di petrolio e gas. Se tutti i governi avessero adottato una simile strategia, probabile che avrebbero inferto alla Russia un colpo ben più duro delle stesse sanzioni attraverso una discesa delle quotazioni energetiche. Così, stanno indebitando i propri cittadini per trasferire ricchezza proprio al nemico di Mosca.

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