Nella primavera del 1986, usciva nei cinema americani “Top gun” con Tom Cruise. Nel nostro Paese, arrivava dopo l’estate. In quei mesi, le classifiche musicali erano capeggiate da Madonna con “Papa, dont’ preach” e spopolava anche Ivana Spagna con “Easy lady”. Perché vi diciamo questo? L’inflazione in Italia è salita a maggio al 6,9%, il dato più alto dal marzo 1986, quando si attestò al 7%. I prezzi al consumo stanno correndo come fossimo negli anni Ottanta, ma ci troviamo nel 2022. E questa non è una differenza di poco conto.

La causa di questo male si chiama crisi energetica. Principalmente, è il boom di gas e petrolio a trainare il costo della vita. La brutta notizia è che accadde lo stesso negli anni Settanta e ci volle oltre un decennio per uscire dall’inflazione a doppia cifra.

Inflazione in Italia nell’ultimo mezzo secolo

Se guardiamo all’andamento dei tassi d’inflazione in Italia, scopriamo che in media si attestarono al 13% negli anni Settanta, scendendo solo al 10,5% negli anni Ottanta. Negli anni Novanta, però, registravamo una caduta al 3,9% scarso. Nel primo decennio del Duemila, ancora più giù: +2,1% in media all’anno. Sembrò che avessimo toccato il fondo, mentre nel secondo decennio al 2019 l’inflazione in Italia fu in media dell’1%.

Invece, tra inizio 2020 e oggi, i prezzi al consumo sono aumentati nel nostro Paese a un ritmo medio annuo del 3%. Questa brusca accelerazione, che per il vero è avvenuta nell’ultimo anno dopo una fase di quasi deflazione sotto la pandemia, colpisce ancora più negativamente le famiglie italiane, perché non più abituate da circa trenta anni ad avere a che fare con prezzi instabili. Non solo. Negli anni Ottanta, il salario medio di un operaio crebbe al ritmo medio del 12% all’anno, cioè sopra l’inflazione. Non era stato così nel decennio precedente, quando era cresciuto in media dell’11%, cioè un paio di punti in meno dell’inflazione in Italia.

Redditi giù, rischio malcontento

Sarà un caso, ma gli anni Settanta si caratterizzarono per scioperi, tensioni sociali, malcontento diffuso e terrorismo. Gli anni Ottanta furono di quiete e riscoperta della vita mondana culminata nella “Milano da bere”. Oggi, invece, abbiamo stipendi che stanno perdendo potere d’acquisto al ritmo medio del 6% su base annua. Tantissimo. Non è sostenibile, a meno di non assistere a un tracollo dei consumi come raramente accaduto nella storia economica recente. Oltretutto, veniamo da decenni di scarsi progressi proprio sul fronte salariale. Tra il 1990 e il 2020, i redditi dei lavoratori in termini reali risultano diminuiti del 3%.

La stagnazione secolare che ha paralizzato l’economia italiana negli ultimi trenta anni rischia di essere inasprita dall’alta inflazione. Finché i prezzi erano rimasti stabili, la mancata crescita dei redditi era risultata quasi sopportabile, pur alla lunga destabilizzante sul piano sociale, demografico ed economico stesso. Ma adesso che l’inflazione in Italia ha ripreso a correre, redditi fermi implicano minori possibilità di consumare. Gli standard di vita rischiano di peggiorare in fretta e di sfociare in una nuova ondata di malcontento.

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