La BCE si tiene pronta a tagliare i tassi ancora una volta, quando già ci aveva comunicato che li terrà bassi “almeno fino alla metà del 2020”. Il mercato obbligazionario è scattato, con i rendimenti sovrani e corporate scesi ai minimi storici nell’area. Il Bund a 10 anni è crollato fino al -0,33%, mentre l’Austria ha emesso una nuova tranche di bond a 100 anni a solo l’1,17%. Anche le banche europee in borsa stanno risalendo dai minimi toccati a maggio, ma restano complessivamente di circa il 12% sotto i livelli di metà aprile.

In Italia, l’indice del comparto guadagna circa il 5,5% da metà giugno scorso, risalendo ai massimi dal 20 maggio, beneficiando del calo dei rendimenti dei BTp in pancia per circa 400 miliardi di euro. In ogni caso, non c’è convinzione sui mercati sul loro rally. Perché?

In un discorso della scorsa settimana, Luis de Guindos, vice-governatore BCE, ha notato che il grado di patrimonializzazione delle banche nell’Eurozona sia migliorato negli ultimi tempi, con il Core Equity Tier 1 ratio al 14,3% al dicembre scorso, meglio del 12,7% del giugno 2015. Tuttavia, il loro Roe o “Return on equity”, rimane basso, attestandosi mediamente in area 6%. Si tratta di un indice di redditività del capitale proprio, a fronte di un costo stimato in media all’8-10%, per cui le banche dell’area non riuscirebbero nemmeno a maturare un rendimento sufficiente a coprire il costo dello stesso capitale.

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Tassi bassi dolori per banche

I tassi bassi non aiutano. Il “core business” delle banche consiste nel fare utili dall’attività di erogazione di denaro. Quando gli interessi sul mercato sono troppo bassi, i ricavi crollano e i costi non scendono proporzionalmente, visto che esiste un “floor” per i tassi offerti ai clienti sui capitali raccolti tra questi, in quanto nessun risparmiatore porterebbe i suoi soldi in banca nel caso di tassi negativi.

In questa fase, quindi, le banche accusano il colpo, mostrandosi poco redditizie e dovendo spostarsi su altre fonti di business per aumentare i guadagni, come puntando sulle commissioni e diversificando la propria attività, seguendo modelli differenti dal passato. Il passaggio, però, non è né immediato e né indolore.

Che si punti al digital banking, che si taglino le filiali sul territorio e ci si aggreghi con altri operatori domestici o internazionali, nel breve bisogna sostenere costi di investimento e di ristrutturazione, che zavorrano ulteriormente gli indici di redditività. Vero è anche, però, che un ambiente di tassi bassi si ripercuote per altri versi positivamente sulle banche. Come? Anzitutto, sostenendo i bilanci di famiglie e imprese e, in teoria, abbassando le probabilità di deterioramento dei crediti erogati. Inoltre, il costo dello stesso capitale tende a ridursi, migliorando il Roe, il quale a sua volta si confronta con rendimenti alternativi “risk free” (in titoli di stato come BTp) sempre più infimi, risultando relativamente più alto.

Alla lunga, però, i tassi troppo bassi rischiano di colpire la redditività delle banche, creando un clima poco avvezzo agli investimenti di qualità e favorendo quelli più scarsi, meno capaci di far crescere l’economia nel medio-lungo termine e aumentando i casi di default aziendali. Per non parlare del rischio di crescente disaffezione tra i risparmiatori verso le banche, trovando gli strumenti tradizionali da queste offerti per nulla remunerativi anche solo per tutelarsi contro la perdita del potere di acquisto e inducendoli a trovare alternative, magari meno sicure, ma più allettanti. Per evitare di acuire un simile scenario, la BCE introdurrebbe uno scaglionamento dei tassi sui depositi overnight, così da sgravare le banche con riserve in eccesso non cospicue. Basterà a non colpire ulteriormente la redditività del comparto nel Nord Europa, in particolare?

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