La narrazione in voga negli ultimi anni è sempre la stessa: l’Italia costituisce il principale pericolo per la tenuta dell’Eurozona, essendo un’economia “too big to fail”, ovvero troppo grande per fallire, nel senso che se fallisse non ci sarebbero risorse sufficienti per salvarla. E con un debito pubblico stagnante al di sopra del 130% del pil, Roma preoccupa parecchio i partner dell’unione monetaria. Non a caso, mentre la Francia alzava in allegria il suo deficit sopra il 3% per il 2019, sostanzialmente violando regole e protocolli di comportamento europei, il nostro governo si è dovuto trasferire quasi stabilmente a Bruxelles per trattare con i commissari ogni decimale di deficit inserito nella manovra di bilancio per il prossimo anno.

Chi – e sono stati in tanti – ha fatto notare a Pierre Moscovici, commissario agli Affari monetari, una palese disparità di trattamento tra Roma e Parigi sui conti pubblici, si è sentito replicare che “le due situazioni non sono comparabili”. Perché? L’Italia possiede un debito pubblico più alto.

Ristrutturazione del debito pubblico, il cappio al collo dei risparmiatori italiani stretto da Germania e Francia

Verissimo. Sarebbero molte le obiezioni a questa ingenua analisi così superficiale. L’Italia, ad esempio, vanta avanzi primari sin dall’inizio degli anni Novanta, la Francia registra ancora un disavanzo vicino all’1% del pil. Al netto degli interessi, i nostri conti pubblici chiuderebbero in attivo del 2%, quelli francesi in passivo per la metà. Se i rendimenti medi italiani fossero allineati a quelli francesi, già quest’anno chiuderemmo in prossimità del pareggio.

Il trend dal 2008 nell’Eurozona

Aldilà di queste evidenze, bisogna comprendere quanto sia accaduto nell’ultimo decennio con lo scoppio della crisi finanziaria. L’Italia è stato l’unico paese nell’area a non avere sborsato denari pubblici per salvare le banche. Lo ha fatto marginalmente negli ultimi anni e per un importo che supera a malapena l’1% del pil tra aiuti effettivi e garanzie.

La Germania dovette, invece, aiutare le proprie banche per un totale di 240 miliardi di euro e l’allora presidente Nicolas Sarkozy varò subito un piano di salvataggio di ben 360 miliardi. Per non parlare della Spagna, che ricevette nel 2012 aiuti europei per 100 miliardi, anche se effettivamente ne spese poco più di una quarantina.

Se nel nostro Paese il focus era ed è rimasto sul debito pubblico, altrove a impensierire i governi sono stati i debiti di famiglie e imprese, che riversandosi sui sistemi bancari nazionali, hanno rischiato e rischiano tutt’ora di provocarne il collasso. Ma le situazioni sono assai diverse. Spesso, per ragioni sia di ignoranza finanziaria, sia di polemica spicciola, si additano le banche tedesche quali vera fonte di potenziale crisi europea e si cita il caso dell’enorme quantità di derivati a bilancio di Deutsche Bank quale prova. In verità, va riconosciuto che l’economia tedesca si presenta sana non solo sul piano dei conti pubblici, bensì pure privati. Nel 2008, la Germania esibiva un debito pubblico al 65% del pil e uno privato al 160%. Lo scorso anno, ha chiuso con il primo al 64% e il secondo sceso al 148%. Praticamente, in meno di un decennio i tedeschi nel complesso si sono sdebitati di 13 punti, scendendo al 212% del pil.

L’Italia ha visto salire il proprio debito pubblico nello stesso periodo di 30 punti percentuali, mentre quello privato è rimasto inalterato, registrando una salita iniziale e una successiva discesa. In tutto, abbiamo peggiorato il nostro saldo di 30 punti, portandolo poco sopra il 300%. La Spagna, che nel 2008 vantava un debito pubblico inferiore al 40%, lo ha visto moltiplicarsi per 2 volte e mezza al 98%, ma lo sgonfiamento della bolla del credito, che nei due decenni precedenti aveva alimentato la crescita economica, ha costretto famiglie e imprese a ridurre le proprie esposizioni dal 270% al 200% del pil, con la conseguenza che nel complesso l’economia spagnola risulta sdebitatasi di una dozzina di punti al 298%.

Come Francia e Germania hanno destabilizzato l’euro dopo avere deriso l’Italia

Il caso francese

E la Francia? Aveva un debito pubblico del 68% e lo ha visto salire al 97%, mentre quello privato è passato dal 205 al 234%. In tutto, ha peggiorato il suo indebitamento totale di 60 punti al 331%. Questo significa che l’economia francese è stata, tra le grandi dell’euro, quella ad avere registrato l’andamento peggiore. Ad essere sballati sono stati non solo i suoi conti pubblici, dato che il settore privato transalpino è diventato nel frattempo il più esposto nell’area. A fronte di una ricchezza media delle famiglie sostanzialmente simile a quella italiana a poco più del 550% del reddito disponibile, quella in valore assoluto pro-capite vale in Francia il 10% in meno che in Italia, nonostante la prima possegga un pil pro-capite del 20% più alto del nostro.

Con l’aumento del costo del denaro, saranno dolori specialmente per le economie più indebitate. Se l’Italia soffrirà più sul piano pubblico, in Francia saranno probabilmente i conti delle famiglie e delle imprese a subire scossoni. E siamo sicuri che con un debito sovrano diretto al 100%, Parigi sarà in grado di mantenere l’attuale fiducia dei mercati? Ad oggi, i titoli del suo Tesoro vengono valutati quasi simili a quelli tedeschi, mentre i BTp sono trattati sui mercati da tempo peggio di quelli spagnoli e da mesi, addirittura, di quelli portoghesi. Tranne che non ci mostriamo capaci di scavare, diremmo di avere toccato il fondo (i nostri rendimenti sono lievitati di 150 punti base in media da aprile a novembre) e forse non potremmo che risalire la china nel prossimo futuro, mentre la Francia rischia di tendere alle attuali condizioni italiane. Se così fosse, il governo parigino sarebbe colto alla sprovvista, considerato che non riesce ancora nemmeno a pareggiare i conti, al netto della spesa per interessi.

Guai a pensare che “la Francia è la Francia” debba intendersi positivamente per i nostri cugini d’Oltralpe.

E se il debito pubblico italiano fosse più solido di quello francese?

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