C’è una novità che arriva da Francoforte e che non piace affatto alla Germania. La Vigilanza della BCE ha deciso di accendere i fari anche sui titoli derivati in pancia alle banche europee per la conduzione degli stress-test in corso sui bilanci 2017 e i cui risultati definiti verranno resi noti solo in ottobre. Sinora, l’attenzione dell’ente, guidato da Danielle Nouy, il cui mandato è in scadenza, si era concentrata sui cosiddetti Npl (“Non performing loans”), i crediti deteriorati, di cui l’Italia detiene ancora una quota preponderante dei 944 miliardi lordi di tutta la UE.

All’inizio di quest’anno, è stato deciso di stringere le maglie delle regole sugli Npl emersi a bilancio dallo scorso aprile, richiedendo alle banche coperture integrali entro 7 anni per i prestiti garantiti ed entro 2 anni per quelli sprovvisti di garanzie.

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Tuttavia, la musica sembra parzialmente cambiata, se già un paio di mesi fa la Nouy chiedeva a Deutsche Bank di effettuare uno studio sull’impatto che avrebbe la liquidazione delle sue attività, tra cui la montagna di derivati, il cui valore nozionale ammonta alla bellezza di 48.300 miliardi di euro, pari a circa 15 volte il pil della Germania. Le azioni della prima banca tedesca sono crollate del 40% quest’anno, viaggiando in area 9,6-7 euro, praticamente ai minimi storici. Poche settimane fa, il terzo cambio della guardia ai vertici in appena 6 anni. Arriva Christian Sewing e se ne va John Cryan. Diverse le problematiche: 3 esercizi consecutivi chiusi in perdita, utile netto in crollo del 79% a 120 milioni nel primo trimestre, scarsa redditività e decine di guai giudiziari, con gli USA ad avere comminato sanzioni in 10 anni per 12,4 miliardi di dollari per svariati scandali, tra cui sulla manipolazione dei tassi d’interesse (Euribor) e di cambio.

E sempre dagli USA, la devastante notizia per DB di essere stata definita “problematica” dalla Federal Reserve, che così quasi ne commissaria il management con riferimento alle attività americane, dovendo essere comunicate tutte le principali decisioni, anche quelle concernenti i cambi dei dirigenti.

In valore netto, i derivati a bilancio di Deutsche Bank ammonterebbero a 25 miliardi, di cui 20,2 miliardi rientrerebbero tra i titoli di livello 3, che la BCE sta monitorando, in quanto inclusi nella “black list” degli assets a rischio, insieme a quelli illiquidi del livello 2. Tutto sommato, farebbero solo l’1,6% delle attività dell’istituto. Il problema è che esiste scarsa fiducia sulla capacità delle banche di fronteggiare adeguatamente le potenziali perdite connesse all’evoluzione di strumenti complessi come i derivati. Sewing, nel tentativo di tranquillizzare i mercati, ha annunciato un maxi-taglio del personale, che dalle 97.000 unità attuali scenderà sotto le 90.000 entro il 2019. I risparmi attesi dall’operazione saranno di circa 900 milioni all’anno, non abbastanza per far parlare di schiarite per un bilancio, in cui i costi si attestano al 93% dei ricavi e quest’anno dovrebbero tendere a 23 miliardi, secondo il target fissato.

La debolezza della Merkel

DB sarebbe “too big to fail” con una capitalizzazione in borsa di 20 miliardi, in grado di alimentare grosse tensioni finanziarie in tutta l’Eurozona, nel caso in cui dagli stress test dovessero emergere risultati non in linea con le attese. Ad oggi, il suo CET 1 ratio è stimato nel 13,4%, percentuale più che soddisfacente per la BCE e gli stessi mercati. Ma con le misure più stringenti in vista anche sul fronte derivati, il grado di patrimonializzazione potrebbe risultare inferiore e alimentare ulteriormente la speculazione. Per la cancelliera Angela Merkel, si tratta di un capitolo sensibile per la stabilità anche politica nella prima economia europea, mentre già il governo federale traballa sulle divisioni profonde in seno ai conservatori sul tema immigrazione.

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Come mai la BCE ha deciso di iniziare ad aprire gli occhi proprio adesso? La risposta sarebbe semplice, per quanto solo un’illazione: ora che la leadership della cancelliera appare debole, si può colpire laddove non era possibile farlo fino a poco tempo fa. Francoforte si è limitata ad oggi a richiedere surplus di capitali alle banche in affanno con gli Npl, particolarmente alle italiane, molto esposte verso imprese e famiglie. Chi ha prestato (male) soldi all’economia reale è stato sanzionato, chi ha speculato (altrettanto male) sui prodotti di natura finanziaria è stato risparmiato dagli oneri, di fatto concedendo un vantaggio economico e regolamentare alle banche tedesche e del nord. Gli attacchi di Trump e del sistema americano si intensificano contro gli interessi tedeschi e proprio il caso Deutsche Bank spicca insieme a quello delle auto, non ultimo l’arresto dell’ad di Audi, Rupert Stadler, sullo scandalo delle emissioni inquinanti, disposto dalla Procura di Monaco di Baviera.

Sembra come se la macchina giudiziaria e, più in generale, dei controlli sia in patria che all’estero si stesse smaliziando, man mano che la politica tedesca segnali tutta la sua debolezza. La Grosse Koalition su cui è nato il quarto governo Merkel a marzo, al termine di 6 mesi di estenuanti trattative tra gli schieramenti, sembra reggersi sull’obiettivo comune di conservatori e socialdemocratici di evitare un probabilissimo ulteriore massacro elettorale nel caso di urne anticipate. I bavaresi da destra premono per cambiare linea sulla gestione dei migranti, tramite il loro leader e ministro dell’Interno, Horst Seehofer, mettendo come mai prima in discussione la cancelleria. Il rischio peggiore per Frau Merkel non sembra al momento consistere in una perdita della maggioranza al Bundestag, quanto nella necessità di arrivare a patti con gli alleati della CSU, finendo per indebolirsi ancora di più sul piano dell’immagine, diventando a tutti gli effetti un’anatra zoppa.

E come in un circolo vizioso, le lenti dei controllori sui colossi economici tedeschi s’ingrandiranno e ciò a sua volta farà franare il terreno da sotto i piedi della cancelliera, che subisce pressioni quotidiane da Washington sulle esportazioni tedesche (minacciate proprio le auto!), a colpi di dazi. E se persino Francoforte dovesse farsi meno amica … .

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