Lega e Movimento 5 Stelle smentiscono che, una volta andati al governo, abbiano in mente di chiedere alla BCE il condono di 250 miliardi di euro del debito pubblico italiano detenuto attraverso gli acquisti realizzati con il “quantitative easing”. Le due formazioni sostengono che la bozza dell’accordo svelata dall’Huffington Post sia stata superata, ma sembra un tentativo di calmare le acque, visto che parliamo di un’intesa messa nero su bianco solamente lunedì 14 maggio. Ad ogni modo, la richiesta di cancellazione del debito tricolore appare irricevibile e autolesionistica per svariate ragioni.

Anzitutto, lo statuto della BCE vieta la monetizzazione dei debiti sovrani e di ciò si tratterebbe. E anche se il governatore Mario Draghi o il suo successore fosse d’accordo, dovrebbe attendersi uguali richieste immediate da parte di tutti gli altri governi dell’Eurozona. Perché mai l’istituto dovrebbe cancellare il debito all’Italia e non anche a Grecia, Spagna, Portogallo, Francia, Germania, Irlanda, Malta, Austria, etc.?

Cancellazione del debito pubblico e uscita dall’euro, perché i mercati sull’Italia ballano

E tecnicamente non è corretto affermare che la BCE deterrà 250 miliardi di BTp al termine del QE. L’80% degli acquisti di titoli di stato è realizzato dalle banche centrali nazionali, che si assumono anche il relativo rischio. Dunque, sui 250 miliardi di bond, Francoforte ne deterrà una cinquantina al settembre prossimo, mentre Banca d’Italia sarà in possesso di 200 miliardi. La richiesta riguarderebbe, quindi, sostanzialmente Palazzo Koch.

Ora, sul piano prettamente formale, una banca centrale potrebbe continuare a operare anche con un patrimonio netto negativo, ma nel caso in cui BCE e Bankitalia dovessero depennare una posta dell’attivo, contabilmente dovrebbero compensare la svalutazione con la cancellazione anche di poste del passivo, ovvero base monetaria. Ciò, perché la moneta emessa rappresenta una passività per la banca, rispecchiando un’attività altrui. Nel caso specifico, Francoforte ha acquistato titoli del debito, rilasciando moneta sui mercati.

Per l’Italia, si tratterebbe di un esercizio al limite dell’impossibile, tranne che volessimo diventare un’economia senza contante. In effetti, la nostra banca centrale ha emesso 150 miliardi di euro di banconote e monete disponibili, meno dei 200 miliardi necessari per il condono del debito. A quel punto, si spingerebbe persino (sempre, in teoria) a non rimborsare più i debiti verso le nostre banche commerciali, finendo per scatenare una crisi di liquidità e finanziaria devastante.

Rischio sfiducia con la richiesta di condono del debito

Anche senza volere immaginare nulla di simile, la sola richiesta di cancellazione del debito rivolta dal governo a un investitore istituzionale comporterebbe conseguenze drammatiche sui mercati finanziari. Chi mai comprerebbe i titoli di stato di un’economia che chiede esplicitamente di non onorare i suoi debiti attraverso un “haircut”? Le agenzie di rating declasserebbero all’istante i nostri bond; i capitali, specie stranieri, si metterebbero in fuga, i rendimenti dei BTp schizzerebbero e il costo di rifinanziamento del debito salirebbe, impattando negativamente sui conti pubblici e riducendo ancora di più i già scarsi margini di manovra fiscali. Se, poi, il mercato intuisse che la richiesta avanzata da Roma fosse un primo passo per portare l’Italia fuori dall’euro, le vendite di bond diverrebbero copiose. A quel punto, nemmeno la stessa BCE interverrebbe con il famoso OMT, noto anche come piano anti-spread, studiato nel 2012 e sinora mai attuato. Infatti, l’istituto avrebbe difficoltà persino politiche nel giustificare gli acquisti di titoli di uno stato che starebbe per sottrarsi agli obblighi e che quasi certamente non accetterebbe nemmeno di sottoscrivere il memorandum d’intesa connesso al piano. In teoria, poi, l’intervento dovrebbe essere richiesto dal nostro stesso governo e sempre dietro l’accettazione delle condizioni imposte dalla BCE.

In sostanza, la sola richiesta di cancellazione di parte del nostro debito sovrano, sia essa rivolta a Francoforte o a Via Nazionale, si tradurrebbe in un boomerang sui mercati finanziari, scatenando i timori di una ristrutturazione generalizzata e quelli ancora peggiori di un’uscita dall’Eurozona. E come profezie che si auto-alimentano, il rischio è che tali paure finiscano davvero per avvicinare l’esigenza dell’una e/o dell’altra soluzione. Con la fiducia degli investitori non si scherza. E ieri a Milano abbiamo avuto un assaggio.

Premier e ministri a cui i mercati guarderanno per dare un giudizio

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