E’ passata un po’ in sordina in settimana la notizia che l’OPEC, l’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio, ha deciso di tagliare la produzione di 100.000 barili al giorno dal mese di ottobre. Eppure il messaggio fatto recapitare dall’Arabia Saudita ad America ed Europa è stato un avvertimento chiarissimo. Qualche giorno prima, i paesi del G7 (USA, Canada, Regno Unito, Germania, Francia, Italia e Giappone) si erano messi d’accordo sul tetto al prezzo del petrolio russo. Un modo per alleviare la crisi energetica e mettere nell’angolo Vladimir Putin.

La Russia non fa parte dell’OPEC, ma da qualche anno vi collabora dall’esterno. Nella sostanza, insieme all’alleato saudita ne decide la linea. Russia e Arabia Saudita fanno insieme più di un quinto della produzione petrolifera mondiale.

Tensioni geopolitiche sul petrolio

Antefatto: nel 2020, quando con la pandemia i governi imposero le chiusure e la domanda di energia colò a picco, l’OPEC reagì tagliando la produzione di petrolio di 10 milioni di barili al giorno. Con l’allentamento delle restrizioni anti-Covid, l’offerta fu aumentata molto lentamente. Anche troppo, per gli americani. Il presidente Joe Biden non si capacita del perché il principe Mohammed bin Salman non aumenti l’offerta in misura consistente, ora che le quotazioni sono esplose fin sopra i 100 dollari al barile.

La verità è che dietro alla mancata reazione dell’OPEC al boom delle quotazioni esistono non solo interessi economici, ma anche strategie geopolitiche. Va da sé che vendere petrolio a prezzi alti avvantaggia i paesi che lo esportano. Perché aumentare la produzione per fare scendere i prezzi? I sauditi lo avrebbero fatto, ma non con Biden alla Casa Bianca e non mentre l’Occidente stanno ingaggiando una “guerra per procura” con la Russia. L’inquilino della Casa Bianca definì in campagna elettorale il regno uno stato “paria” per via del barbaro assassinio del giornalista Jamal Khashoggi.

OPEC resiste all’Occidente

Paradossale che appaia, la Russia all’ultima riunione dell’OPEC è stata contraria al taglio dell’offerta, sostenendo che avrebbe lanciato un messaggio negativo circa la domanda di energia attesa e, quindi, gravando sulle quotazioni. In effetti, dopo l’annuncio il prezzo del Brent è sceso sotto i 95 dollari. Tuttavia, tale decisione dovrebbe allarmare l’Occidente. Per prima cosa, essa sottolinea come ormai neppure un fedele alleato come Riad sia così incline a soddisfare le nostre richieste. Anzi, con la decisione di lunedì l’OPEC a guida saudita ha voluto rimarcare come nessuno possa pensare di indebolirne la capacità di fissare le condizioni di mercato.

Abbiamo da un lato un cartello che lotta per tenere alti i prezzi e dall’altro un nucleo di facoltosi clienti che punta a limitarli. Tutto questo accade nel bel mezzo di uno “scontro di civiltà” tra Occidente da una parte e “autocrazie” e vere dittature asiatiche dall’altra. E l’OPEC non è certo un club delle democrazie, per cui è persino troppo chiaro per chi parteggi. Anche volendo immaginare che il mini-taglio dell’offerta sia scevro da condizionamenti geopolitici, esso segnalerebbe il deterioramento delle attese sulla domanda di petrolio. Nel migliore dei casi, il messaggio che l’OPEC ha voluto recapitarci è che tirerebbe aria di crisi.

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