Mercati finanziari nuovamente in subbuglio. Venerdì scorso, l’indice S&P 500 ha lasciato sul terreno il 2,4%, seguendo di qualche ora il trend negativo delle altre borse mondiali, con l’Ftse Mib a Milano a chiudere a -0,57%, Francoforte a -0,73% e Parigi a un più contenuto -0,18%. Nel mondo sono stati superati i 10 milioni di contagi e la curva in diversi stati segnala un’accelerazione dei nuovi casi, anziché il tanto auspicato rallentamento. Tra le situazioni a preoccupare maggiormente spiccano Brasile e USA.

Se nello stato sudamericano i casi di Covid-19 registrati superano abbondantemente gli 1,3 milioni, secondo al mondo ai soli USA con oltre 2,5 milioni, del resto il suo tasso di mortalità resta relativamente basso, pari al 4,3%, che si confronta con una media mondiale del 5%.

Gli investitori temono che una seconda ondata di contagi porti a nuovi “lockdown”, i quali provocherebbero danni presumibilmente irreparabili ad alcuni settori dell’economia, pur se imposti parzialmente. In realtà, qui non siamo di fronte a una seconda ondata, bensì al colpo di coda della prima. E’ accaduto quanto molti di noi temevano, ovvero che con l’allentamento delle restrizioni, il ritorno graduale alla normalità nelle relazioni sociali e la maggiore mobilità abbiano inasprito i contagi dopo una fase calante un po’ ovunque.

Ci sarà un nuovo “lockdown” in autunno con una seconda ondata di contagi?

Tuttavia, l’allarmismo di questi ultimi giorni sembrerebbe ingiustificato alla luce dei dati reali. Se è vero che stati come Florida e Texas stanno ripensando all’allentamento delle restrizioni e segnalano di voler porre un freno al ritorno alla normalità, pur controvoglia, nei giorni scorsi i contagi nazionali negli USA hanno toccato picchi di oltre 45.000 casi in appena 24 ore, con la curva che nelle ultime due settimane sta diventando ancora più ripida, quando nelle principali economie europee si mostra calante.

Insomma, l’America sarebbe a rischio quarantena.

Cosa spiegano i numeri sul Covid-19

I numeri, però, suggeriscono altro. Sul piano mondiale, nell’ultimo mese abbiamo assistito a tutto, fuorché a un freno dei contagi. Quasi la metà degli oltre 10 milioni di positivi si è avuta da fine maggio, pur a fronte di un tasso di mortalità che risulta essere molto più basso rispetto alla prima fase: al 3,37% contro il 6,9% del periodo che va dall’inizio della pandemia a un mese fa. In sostanza, la mortalità si starebbe più che dimezzando. Negli USA, questa tendenza si mostra ancora più lampante: 780.000 contagiati nell’ultimo mese, ma “solo” quasi 22.500 morti, pari a un tasso di mortalità del 2,9%, che si confronta con il 6% del periodo precedente.

Tirando le somme, la prima economia mondiale ha nel complesso una mortalità del 5% tondo, ma che si è abbassata al 2,9% nell’ultimo mese. Nel mondo, la mortalità complessiva è anch’essa del 5% e anche in questo caso tende a diminuire, visto che negli ultimi 30 giorni risulta scesa a meno del 3,4%. Dunque, i contagi dilagano, ma sono molto meno temibili, cioè provocano meno morti. Come mai? Le spiegazioni possono essere diverse, concomitanti e tutte aprono alla speranza e all’ottimismo. Si sta abbassando, in alcuni casi notevolmente, l’età media dei nuovi positivi, che in stati come la Florida è crollata dai 50 anni di poche settimane fa ai 30 attuali.

I giovani, come sappiamo, sono molto meno esposti ai rischi di complicanze, per cui deprimono i tassi generali di mortalità. Probabile, poi, che rispetto all’effetto sorpresa dei primi mesi, i sistemi sanitari stiano offrendo risposte più veloci ed efficaci alla pandemia, con cure che si starebbero rivelando maggiormente azzeccate e che ridurrebbero il numero dei decessi. Probabile anche che la carica virale del Covid-19 si sia abbassata, chissà se per l’aumento delle temperature nell’emisfero nord, con l’arrivo della stagione estiva, oppure perché il virus avrebbe avuto il suo sfogo più cruento nel periodo marzo-aprile e adesso sarebbe meno forte.

Sul tema dovranno esprimersi i virologi, anche se al momento sarebbe forse un po’ presto per tirare le somme.

I timori dei mercati

Fatto sta che se in questi mesi i contagi montassero con tassi di mortalità calanti, paradossalmente per l’economia potrebbe essere una notizia positiva in termini prospettici, in quanto preluderebbe a un rischio più basso di una seconda ondata in autunno e, soprattutto, tra alcuni mesi i governi non sarebbero costretti nuovamente a reimporre restrizioni per paura di contraccolpi ai rispettivi sistemi sanitari e a conseguenze drammatiche per le fasce della popolazione più a rischio, come anziani e malati. Per quanto servirebbero numeri ben più consistenti di quelli attuali, da qui all’autunno si creerebbe un’immunità di gregge in diverse realtà, spegnendo l’allarme quarantena.

Gli investitori ad oggi non si mostrano convinti di questo ragionamento e sono tornati a vendere sui dati recenti dei contagi, specie negli USA. Evidentemente, essi temono che l’accelerazione nei tassi di crescita dei positivi spinga governi e governatori locali a imporre nuove restrizioni, che per quanto limitate rispetto ai lockdown dei mesi scorsi, avrebbero l’effetto di rallentare la normalizzazione delle attività produttive, allontanando quella ripresa a “V” sin qui scontata dai valori delle borse. Questi, specie negli USA, si sono riportati in prossimità dei massimi storici toccati a inizio anno. Determinanti saranno le prossime due settimane: se entro metà luglio non assistessimo a un aumento anche del numero dei morti giornalieri negli USA, i mercati si convinceranno che effettivamente il peggio sia alle spalle e che il rischio di un secondo lockdown globale sia piuttosto basso.

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