E’ stata una giornata politicamente convulsa quella di ieri. Matteo Salvini e Luigi Di Maio avrebbero dovuto indicare al presidente Sergio Mattarella il nome del premier individuato per guidare il loro prossimo governo, mentre dalla Sala della Vetrata sono usciti senza un accordo e il viso del leader leghista era talmente scuro, che a un certo punto è parso persino di scorgere una rottura più che un’intesa. Sin dalla mattinata, poi, era circolato il nome di Giulio Sapelli quale possibile nome e, tuttavia, prima ancora che i due salissero al Quirinale le sue quotazioni erano già in forte discesa, tanto che il diretto interessato comunicava di essere rimasto impallinato da “forti pressioni”, senza indicare di chi.

La presidenza della Repubblica è dovuta intervenire in serata per smentire la ricostruzione dell’eurodeputato salviniano Marco Zanni, secondo cui contro Sapelli si sarebbero mossi Bruxelles e lo stesso Quirinale, preoccupati dalla sua visione poco conciliabile con quella delle principali cancellerie europee e delle istituzioni comunitarie.

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Ma chi è Sapelli e come mai si sarebbe “bruciato” da solo? Attuale ricercatore associato della Fondazione ENI, Enrico Mattei, con trascorsi in Unicredit, già professore ordinario di Storia economia alla Statale di Milano, 71 anni e pochissimi peli sulla lingua, forse nessuno. Domenica sera sarebbe stato raggiunto al telefono da Salvini, il quale gli avrebbe chiesto la disponibilità a guidare il prossimo governo giallo-verde. L’economista non si sarebbe affatto sottratto e tramite agenzie stampa chiariva che avrebbe preteso di nominare ministro dell’Economia Domenico Siniscalco, che ricoprì quel ruolo tra il 2003 e il 2004 sotto il governo Berlusconi, salvo lasciare la carica in polemica con il resto dell’esecutivo, succeduto da Giulio Tremonti, lo stesso che aveva sostituito un anno prima.

Sapelli non si è risparmiato nella giornata di ieri, chiarendo i cardini del suo programma.

Raggiunto dai microfoni dei giornalisti, ha spiegato che oggetto della sua azione politica da premier sarebbe stato la rinegoziazione dei trattati europei, non l’uscita dall’euro, che viene propinata, ha rimarcato, solo per non concludere niente. Un attacco anche alla Germania, che a suo avviso esporterebbe deflazione nel resto dell’Eurozona. Troppo per potere essere accettato dal Quirinale, che ha precisato di non avere nemmeno ricevuto alcuna proposta sul nome del Prof vicino alla Lega.

Che significa rinegoziare i trattati europei?

Le affermazioni di Sapelli su politica ed economia sono state forti anche in passato. In una intervista di Business Insider e pubblicata solo tre settimane fa, l’uomo attacca il potere dominante della Germania, sostenendo che in Europa non vi sarebbe alcun asse franco-tedesco e lamentando che la visione “ordo-liberista” tedesca impedirebbe a Berlino persino di utilizzare gli immensi surplus (fiscali e commerciali) accumulati. Per questo, la Germania non riuscirebbe a rendersi egemone, non esercitando alcuna leadership sul piano culturale. Insomma, un gigante economico e un nano politico. Il cuore pulsante della politica, a suo dire, sarebbe la Francia, il cui establishment si mostrerebbe, tuttavia, parecchio diviso sotto la presidenza Macron.

Cosa significa rinegoziare i trattati? Sapelli non lo ha chiarito, anche se formalmente un po’ tutti i partiti italiani, PD compreso, ne parlano da anni a vuoto. Il riferimento implicito sarebbe essenzialmente al Fiscal Compact, l’accordo del 2012 con cui le economie dell’Eurozona si impegnarono a raggiungere il pareggio di bilancio e a tagliare di un ventesimo all’anno la quota di debito eccedente il 60% del pil. Oggi come oggi, per l’Italia adempiere alle previsioni del Fiscal Compact equivarrebbe a dovere trovare risorse per una trentina di miliardi di euro, ovvero ad azzerare del tutto il deficit, sempre che la crescita nominale del pil (inflazione, inclusa) riesca a mantenersi in area 3%.

Si tratta di regole, ancorché vitali per segnalare la sostenibilità dei debiti sovrani nell’area, sinora mai applicate, almeno non dalla stragrande maggioranza dei governi, molti dei quali nemmeno hanno ancora centrato l’obiettivo di riportare il disavanzo fiscale sotto il tetto del 3%. La Germania, invece, che chiude i bilanci in attivo sin dal 2014, ha quasi completato la marcia per giungere a un rapporto debito/pil non superiore al 60%.

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Dunque, trattasi sostanzialmente di lettera morta, ma i tedeschi tengono molto a non indebolire la forma, temendo che altrimenti il segnale che verrebbe lanciato ai governi e ai mercati sarebbe di natura lassista. Parlare di rinegoziare i trattati, dunque, indispone Berlino, che starebbe concentrando le sue pressioni su Mattarella, al fine di ottenere almeno che il prossimo premier sia quanto più vicino alle posizioni tradizionali dell’Italia in politica estera, aldilà dei programmi della maggioranza penta-leghista. Sarà anche per questo che Salvini ha avvertito dal Quirinale stesso ieri sera, che o sarà in grado di “fare le cose” o il governo giallo-verde nemmeno nascerà. E con una Lega data intorno o anche sopra il 25% dei consensi, la tentazione di andare ad elezioni anticipate e capitalizzare al massimo il successo, magari riuscendo a governare solo con una coalizione di centro-destra, si fa di ora in ora più forte. Chissà che Sapelli non possa guadagnarsi un ruolo in un eventuale esecutivo verde-azzurro!

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