Matteo Salvini non si arrende e promette battaglia sulla riforma delle pensioni. La sua proposta resta la stessa da mesi ed è quella avanzata ai sindacati nella girandola di incontri avuti nelle ultime settimane: quota 41. Un’espressione probabilmente fuorviante, perché non si tratta di quota vera e propria. La misura esiste già e consente a una platea ristretta di lavoratori di andare in pensione con 41 anni di contributi e indipendentemente dall’età anagrafica. Finora, essa riguarda i cosiddetti lavoratori “precoci”, vale a dire con almeno 12 mesi di contributi prima del compimento dei 19 anni di età.

Inoltre, devono essere disoccupati senza indennità di disoccupazione da almeno tre mesi o invalidi civili almeno al 74% o assistenti di un familiare disabile da almeno sei mesi o svolgere lavori usuranti.

Salvini vuole la pensione anticipata per tutti

Salvini vorrebbe estende a tutti questa platea. Secondo l’INPS, però, quota 41 costerebbe così 4 miliardi di euro solamente nel primo anno di attuazione e 9 miliardi complessivi al decimo anno. Un po’ troppo per il governo Draghi, che spera di contenere la spesa per il capitolo previdenziale ai minimi termini, specie dopo che l’Unione Europea ha richiamato l’Italia sull’eccesso di spesa per le pensioni.

Ma il leader della Lega non ci sta e nei giorni scorsi ha dichiarato che il suo obiettivo sarebbe tra l’altro di confermare Opzione Donna, che consente alle lavoratrici di andare in pensione già a 58 anni di età (59 anni per le lavoratrici autonome) con 35 anni di contributi, ma con l’assegno liquidato con il metodo contributivo. E ha aggiunto che “in alcuni settori l’età media è ormai di 50-55 anni, insostenibile”.

Secondo l’ex ministro dell’Interno, quindi, a ridosso dei 60 anni non sarebbe fattibile. La media di 50-55 anni, infatti, significa che alcuni dipendenti siano di 60 anni o più e altri di 50 anni o meno.

Un siffatto mercato del lavoro per Salvini non può andare avanti. Evidentemente, auspica un modello di società in cui si smetta di lavorare quando ancora si è relativamente giovani, godendosi la pensione per non meno di una trentina di anni. Tutto molto bello, ma chi paga?

Quota 41 non passerà per carenza di risorse

In un sistema puramente contributivo o privatistico, un lavoratore avrebbe il diritto di andare in pensione quando lo riterrebbe opportuno. In teoria, se avesse maturato una contribuzione congrua per ottenere un assegno sufficiente per vivere, potrebbe ritirarsi anche a 40 anni o persino meno. Ma in un sistema a ripartizione come quello italiano, questa flessibilità non è possibile. A pagare sarebbero i lavoratori rimasti in servizio, i quali tendono a ridursi di numero negli anni a causa della denatalità. Questo è insostenibile, servirebbe che qualcuno lo spiegasse a Salvini.

E’ ovvio che se chiedessimo a un imprenditore se manderebbe in pensione un dipendente di 55 anni per assumerne uno di 30, risponderebbe di sì. Ma un politico deve tenere in considerazione l’impatto che queste legittime richieste avrebbero sui conti pubblici e sull’economia. E sarebbe catastrofico. La flessibilità è legittima, persino doverosa, ma deve essere concessa dietro il sostenimento di un costo da parte di chi ne beneficia, fatte salve le eccezioni a favore delle categorie oggi svantaggiate o che lo furono quando entrarono sul mercato del lavoro. Quota 41 non passerà, perché servirebbe avere soldi che non ci sono per finanziarla. Salvini lo sa e sarebbe bene che si occupasse di portare a casa risultati concreti, anziché propinarci uno slogan dietro l’altro.

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