Ieri, i sindacati dei lavoratori hanno incontrato i rappresentanti del governo per discutere principalmente di pensioni. Al tavolo era seduta anche la premier Giorgia Meloni, che ha voluto debuttare nel confronto con le parti sociali ponendo l’accento sul lavoro. Ha spiegato che l’Italia registra tra i più bassi tassi di occupazione femminile in Occidente e tra i più alti tassi di lavoro nero. E ha paventato il rischio di assegni inconsistenti per le nuove generazioni. Infine, ha sostenuto che un grosso freno all’occupazione arriverebbe dalla tassazione.

Resta in piedi sistema quote

Nulla di nuovo, per carità. I temi sono i soliti da anni, forse decenni. Ma ha fatto un po’ impressione che la premier abbia voluto iniziare il confronto sulle pensioni dal tema del lavoro. Finora il dibattito è ruotato tutto attorno alle scappatoie per evitare che resti in piedi la sola legge Fornero. Le ipotesi si sprecano. Sul sistema delle quote, che sembrava dovesse essere abbandonato, punta anche il nuovo esecutivo, accanto alla proroga di Opzione Donna.

La direzione verso la quale si starebbe andando è quella di un restyling di Quota 102. Fino al 31 dicembre si potrà andare in pensione con almeno 64 anni di età e 38 anni di contributi. Il ministro del Lavoro, Marina Calderone, punterebbe su almeno 41 anni di contributi, come da richiesta della Lega, ma accompagnati da almeno 61-62 anni di età. Ci sarebbe anche l’ipotesi di rendere le quote flessibili. Ad esempio, 61 anni di età e 42 anni di contributi (somma 103) o 62 anni di età e 41 anni di contributi (somma sempre 103), ecc.

Aumento pensioni 2023 del 7,3%

Il fattore costo sarà dirimente. Gli spazi di manovra sono ristrettissimi. Al 2025, ha spiegato il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, l’aumento della spesa sulle pensioni sarà di 50 miliardi di euro a causa dell’effetto dell’inflazione sugli assegni. Proprio ieri il ministro ha firmato il decreto per ordinare la perequazione per il 2023.

Gli aumenti saranno del 7,3%. Saranno scalati per gli assegni superiori a quattro volte e fino a cinque volte il trattamento minimo (+6,57%). Sopra le cinque volte il minimo, cresceranno del 5,475%. Aumenti consistenti.

E tutto il dibattito sulle pensioni ha perso di vista negli ultimi anni proprio della grande questione italiana di cui ha parlato Meloni. Il lavoro scarseggia, specie tra donne e giovani, e quando c’è è precario e spesso in nero. Questa condizione di sottoccupazione priva l’INPS di risorse sufficienti per coprire la spesa per le pensioni di oggi e, in prospettiva, creerà un dramma sociale diffuso. Milioni di pensionati, cioè di lavoratori mediamente giovani oggi, percepiranno assegni incongrui.

Come il cane che si morde la coda, finché l’occupazione sarà bassa, la contribuzione resterà alta e solo una nicchia dei lavoratori disporrà di stipendi adeguati per aderire a una qualche forma di previdenza integrativa. A tale proposito, il governo potrebbe far sua la richiesta dei sindacati di un nuovo periodo di silenzio-assenso per far scegliere ai lavoratori se tenere il TFR in azienda o trasferirlo presso un fondo pensione. Una non soluzione, intendiamoci. Il problema di fondo sono i bassi stipendi. Non consentono di trovare alternative all’INPS. Il problema delle pensioni è fondamentalmente un problema di lavoro. Per una vera riforma strutturale, spiega Meloni, se ne parlerà nel 2024.

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