Congelare l’età pensionabile a 66 anni e 7 mesi nel 2019 costerebbe 1,2 miliardi di euro, rispetto all’ipotesi di innalzare l’asticella a 67 anni per effetto dell’adeguamento alla longevità media degli italiani. Le simulazioni pongono un problema di conti pubblici al governo, dopo che i presidenti della Commissione Lavoro di Camera e Senato, rispettivamente Cesare Damiano e Maurizio Sacconi hanno proposto di bloccare l’inasprimento del requisito anagrafico, prendendo atto come oggi in Italia vi siano già le norme più penalizzanti per andare in pensione.

In effetti, nell’austera Germania si andrà in pensione a 67 anni solo alla fine del prossimo decennio, mentre in Francia si può lasciare il lavoro già a 57 anni, sulla base dei contributi versati e dell’età alla quale si è iniziato a lavorare, anche se l’età pensionabile legale di riferimento è fissata a 62 anni. (Leggi anche: Sistema pensionistico in Italia fallito, cosa ci insegna il modello cileno)

Pensioni in Italia, contributi Inps non bastano

Eppure, il problema delle pensioni in Italia continua ad esistere, se è vero che i 216 miliardi di contributi versati all’Inps non sono sufficienti a coprire uscite complessivamente pari a 273 miliardi. La differenza viene colmata dallo stato, attingendo alla fiscalità generale, ovvero dai soldi delle tasse versate dai contribuenti e che verrebbero destinati, quindi, a fini impropri.

Per fortuna che ci sarebbero gli immigrati. Almeno, così pare dopo che il presidente dell’Inps, Tito Boeri, ha lanciato l’allarme sui 38 miliardi di minori contributi netti che verrebbero versati alle casse dell’istituto da qui ai prossimi 22 anni, nel caso in cui scomparissero i lavoratori stranieri. Vi sarebbero, infatti, 73 miliardi di versamenti in meno, a fronte di 35 miliardi di minori prestazioni, per cui al netto l’Inps incasserebbe, appunto, 38 miliardi in meno.

Il ragionamento di Boeri sembrerebbe non fare una grinza, invece, si presta a diverse osservazioni.

In primis, bloccare i flussi migratori non significa espellere gli immigrati già residenti in Italia, meno che mai quelli che hanno un lavoro regolare e che pagano le tasse. Lo scenario paventato dall’economista sarebbe una deportazione di massa, che nessuno politico ha per fortuna mai propugnato nel nostro paese, per cui la battuta è parsa a dir poco inopportuna. (Leggi anche: Spesa pensioni alta in Italia)

Perché Boeri non convince

Secondariamente, c’è un retro-pensiero che non quadra in quel che Boeri ha dichiarato. Egli presuppone che se oggi non vi fossero quei 5 milioni di stranieri, di cui gli occupati si attesterebbero sui 2 milioni e rotti, il gettito fiscale e contributivo da questi derivante sarebbe del tutto azzerato, come se i posti di lavoro che ricoprono non potrebbero essere presi, almeno in parte, dagli italiani residenti.

E a non quadrare è un altro assioma su cui si basano le teorie, per cui gli immigrati ci pagherebbero le pensioni. E’ dimostrato dalla demografia che i cittadini stranieri che vengono a vivere in Italia o in un altro stato europeo tendano con il tempo ad assimilare le nostre abitudini in fatto di procreazione, ovvero a generare un numero di figli sostanzialmente simile al nostro. Questo significa che gli immigrati oggi colmano il deficit tra morti e nascite della popolazione italiana, ma nel tempo a loro volta dovrebbero contribuire a quel saldo negativo.

Di più: i contributi versati da chicchessia, immigrati compresi, non sono a fondo perduto, una regalia per le casse dell’Inps, ma a tutti gli effetti costituiscono per l’ente un debito futuro, specie con il passaggio graduale al sistema contributivo. In altre parole, i contributi versati oggi saranno le pensioni di domani. Quindi, gli immigrati che da qui ai prossimi 22 anni ci verserebbero 38 miliardi netti, sono gli stessi che avranno diritto a percepire una pensione calcolata su questo montante.

(Leggi anche: Spesa pensionistica insostenibile, servono milioni di lavoratori in più)

Serve crescita economica, non una soluzione facile

In definitiva, fintantoché la dinamica demografica non sarà positiva in Italia, la facile soluzione di importare immigrati per coprire i disavanzi dell’Inps si rivelerà efficace solo nel breve termine, a meno di non immaginare di sostituire progressivamente gli italiani con altre etnie, cosa che funzionerebbe sul piano previdenziale per qualche decennio, salvo dare seguito allo stesso problema.

Spiace e colpisce che Boeri non si sia concentrato su un altro aspetto delicato per i conti dell’ente da lui guidato: la bassa occupazione. In Italia, su 100 persone in età lavorativa (15-64 anni) a risultare occupati sono appena 57-58, mentre in Germania il dato sale a 74. Nel lungo periodo, stando all’impegno sottoscritto con il Trattato di Lisbona, l’obiettivo di tutta la UE sarebbe di tendere a un tasso di occupazione dell’80%, che per il nostro mercato del lavoro significherebbe disporre di 8-9 milioni di maggiori occupati. Senza volere sconfinare nella velleità, ci si potrebbe accontentare per il momento di tendere alla media europea del 65%, che in ogni caso comporterebbe quasi 3 milioni in più di occupati rispetto ad oggi. (Leggi anche: Lavoratori italiani sono pochi e sgobbano più dei tedeschi)

Con questi numeri, l’Italia riuscirebbe a garantire la sostenibilità della previdenza con soluzioni strutturali e non grottesche. Il sistema a ripartizione, che lega le diverse generazioni da un vincolo di solidarietà che sa di cappio, si regge su un equilibrio garantito da crescita salariale e rapporto non crescente tra numero di pensionati e quello degli occupati. In entrambi i casi, la soluzione passa per la crescita dell’economia, il vero problema cronico italiano. Altro che ipotizzare che chi sbarca sulle coste siciliane stia correndo a pagarci la pensione.