Nuovi acquisti di assets per 20 miliardi di euro da novembre nell’Eurozona, noti come “quantitative easing” (QE2), taglio dei tassi sui depositi overnight dello 0,10% al -0,50%. Sono state le principali novità dell’ultimo board della BCE di due giovedì fa, tese a ringalluzzire l’inflazione nell’area e le stesse prospettive di crescita dell’economia. Ma se il bazooka imbracciato da Mario Draghi 4 anni e mezzo fa ha fatto poco in tal senso, pensate che gli ultimi spari di artiglieria possano fare meglio? E’ evidente che la strategia in atto delle grandi banche centrali del pianeta sia all’insegna del “kick the can”, il calcio al barattolo, finché il marciapiede non finirà.

Un modo come un altro per prendere tempo, nella speranza che qualcosa accada nelle economie avanzate (shock fiscali espansivi?) e che renda possibile l’uscita graduale dall’accomodamento monetario senza freni di quest’ultimo decennio.

E c’è un’urgenza tutta europea di cui Draghi ha dovuto verosimilmente tenere conto per allontanare lo spettro di una rivolta sociale proprio nel cuore dell’Europa, a partire dalla Germania: le pensioni. I budget pubblici sono gravati dalle spese previdenziali da percentuali che vanno da quasi il 12% al 17,5% del pil, ampiamente ormai prima voce di esborso dei governi. Le risorse saranno sempre minori in futuro, a causa del tendenziale invecchiamento della popolazione, il quale si traduce da tempo in un calo dei lavoratori occupati e in un aumento degli anziani. Contributi stagnanti – calanti se non fosse spesso per gli immigrati – e spesa pensionistica in crescita. Il patto intergenerazionale su cui la previdenza europea si fonda da oltre mezzo secolo non regge più.

Milioni di persone vengono così spinte a risparmiare e ad accantonare risorse private per la terza età, aderendo a fondi pensione negoziali chiusi, individuali aperti, di categoria o a semplici coperture assicurative.

Questi investitori istituzionali raccolgono i capitali dei lavoratori di oggi e li investono sui mercati, principalmente in azioni e obbligazioni. I rendimenti serviranno ad accrescere il montante degli iscritti, oltre che a remunerare la loro gestione. Adesso, però, tutto si sta facendo maledettamente difficile. Wall Street è volata ai massimi storici e dall’uscita della crisi del 2009 ha guadagnato fino al 280%. E una massa di bond per 17.000 miliardi di dollari, pari a un terzo del totale, offre ormai rendimenti negativi, cioè non solo non remunerano gli obbligazionisti, ma addirittura implicano che ad essere pagati siano i debitori da parte dei creditori.

Rendimenti BTp troppo appetibili per fondi pensione, rating permettendo 

Fine dei giochi sui mercati senza stimoli

In realtà, i rendimenti negativi non comportano necessariamente perdite a carico di chi acquista queste obbligazioni anomale. I possessori possono ricavare valore dal rialzo delle quotazioni, rivendendole prima della scadenza, trattandole come se fossero azioni. E così è stato sinora. Fondi pensione, banche e assicurazioni non hanno perso dai rendimenti negativi, speculando al rialzo. E così, il futuro dei pensionati e, in generale, dei risparmiatori/investitori è stato salvaguardato. Tuttavia, i prezzi dei titoli azionari e obbligazionari non possono salire all’infinito, né i rendimenti scendere senza alcun “floor” in territorio negativo. Prima o poi, si raggiunge un apice che fa scattare le vendite. E a quel punto, i rendimenti negativi diventano forti dolori per gli obbligazionisti, rivelandosi per quello che sono: titoli in perdita.

Le banche centrali sanno di avere alimentato questa bolla finanziaria gigantesca e sanno anche che per allontanarne il più possibile l’esplosione bisogna alimentarla ulteriormente con nuovi stimoli. Se così non fosse, i prezzi dei bond e delle azioni crollerebbero e le pensioni di milioni di iscritti verrebbero “bruciate” in men che non si dica, intaccando il futuro di quella generazione a ridosso dell’uscita dal lavoro e che non avrebbe il tempo di recuperare le perdite accusate.

Ma nemmeno i nuovi acquisti rischiano di migliorare le valutazioni già stellari degli assets, con la conseguenza che i mercati starebbero rimanendo intrappolati in una condizione di attesa, indecisi se vendere e realizzare i profitti virtuali degli ultimi tempi o continuare a comprare per guadagnare ancora di più, ma esponendosi ulteriormente alla bolla.

Da qui in avanti, il solo modo che i fondi pensione e le assicurazioni avranno per garantire rendimenti minimi positivi agli iscritti sarà di buttarsi sui mercati emergenti, dove i bond continuano a offrire cedole ancora generose, pur assumendosi un rischio di cambio, oltre che di credito, che decimerebbe con altrettanta fretta i risparmi dei futuri pensionati. E anche a questo servono gli stimoli della BCE, a tenere debole l’euro contro le valute emergenti, consentendo agli istituzionali di guadagnare con la compravendita di assets su quei mercati, senza accusare perdite dal deprezzamento dei rispettivi tassi di cambio. Un gioco che non può andare avanti all’infinito, ma che tutti i governatori vogliono che a porre fine sia qualcun altro.

I tassi negativi in Germania provocheranno un terremoto politico ancora più forte

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