La proposta è del Prof Michele Reitano, componente della Commissione tecnica istituita al Ministero del Lavoro per studiare una riforma delle pensioni che separi l’assistenza dalla previdenza: consentire ai lavoratori di prendere una pensione anticipata rispetto all’età ufficiale, ma tagliata del 3% per ogni anno al di sotto di quest’ultima per la sola quota retributiva. Se passasse, andrebbe incontro alla richiesta perentoria arrivata da Palazzo Chigi nelle settimane scorse: ogni riforma è possibile nel quadro della sostenibilità. In altre parole, il contributivo non si tocca; se si desidera maggiore flessibilità in uscita per i lavoratori, ciò dovrà avvenire salvaguardando l’equilibrio dei conti previdenziali.

In cosa consisterebbe il taglio? Il lavoratore potrebbe optare per una pensione anticipata rispetto agli attuali 67 anni di età, pur non possedendo un’anzianità contributiva di 42 anni e 10 mesi per gli uomini o i 41 anni e 10 mesi per le donne. In cambio, per la quota retributiva si vedrebbe tagliato l’assegno del 3% per ogni anno di anticipo goduto. Ad esempio, se il lavoratore decidesse di andare in pensione a 63 anni, cioè 4 anni prima, il taglio sarebbe del 12%.

Pensione anticipata, come agirebbe il taglio

La quota retributiva riguarda gli anni di anzianità fino al 31 dicembre 1995 per i lavoratori con meno di 18 anni di contributi versati entro quella data o gli anni di anzianità fino al 31 dicembre 2011 per i lavoratori che al 31 dicembre 1995 avevano maturato almeno 18 anni di contributi. Per questi periodi, il calcolo dell’assegno avviene secondo modalità più favorevole al lavoratore. Grosso modo, egli riceverà un assegno pari al 2% della retribuzione media degli ultimi anni di lavoro per ogni anno di contribuzione, fino a un massimo dell’80%.

L’ipotesi di concedere la pensione anticipata con un taglio sulla quota retributiva sarebbe anche un modo per apportare maggiore equità nel sistema a favore di chi è costretto ad andare in pensione con il calcolo contributivo, il quale diverrà esclusivo a partire dal 2032.

In effetti, se l’assegno fosse calcolato del tutto con il metodo contributivo, teoricamente l’età a cui il lavoratore deciderebbe di andare in pensione non avrebbe alcun impatto sui conti dell’INPS, dato che egli riceverebbe i contributi versati e rivalutati secondo i criteri fissati per legge e, oltretutto, il suo assegno risulterebbe determinato anche dall’età di pensionamento attraverso i coefficienti di trasformazione. Questi fanno sì che prima si vada in pensione, minore sarà l’importo dell’assegno.

Infine, Reitano smentisce che gli italiani vadano in pensione troppo presto. I lavoratori dipendenti privati risultano andare mediamente in quiescenza a 64,1 anni per gli uomini e 63,2 anni per le donne. Nel pubblico impiego, siamo rispettivamente a 63,9 e 63,5 anni. Per le gestioni autonome dell’INPS, i dati sono 64,8 e 64 anni. Per il calcolo si è tenuto conto delle sole pensioni di vecchiaia e anticipate. Insomma, non saremmo sotto la media OCSE come fin qui avevamo pensato sulla base dei dati ufficiali pubblicati.

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