Il “Recovery Fund” metterà a disposizione dell’Italia, a partire dai primi mesi del 2021, qualcosa come circa 209 miliardi di euro, di cui 81,4 a fondo perduto. Due saranno le condizioni imprescindibili per accedervi: che il governo presenti un piano per l’impiego delle risorse destinato a sostenere la crescita e l’occupazione nel medio-lungo termine e che al contempo faccia riforme economiche, tra cui per lo snellimento della burocrazia e della giustizia civile. Non è un mistero che all’estero vedano il nostro debito pubblico come un grosso macigno che sovrasta l’Eurozona da una collina e che, rotolando, la devasterebbe.

Perché il fondo sovrano italiano è più semplicemente una patrimoniale mascherata

Per renderlo sostenibile, serve che l’economia italiana torni a crescere e a ritmi decisamente superiori a quelli stagnanti dell’ultimo ventennio. A fine anno, il pil dovrebbe essere crollato sotto i 1.600 miliardi di euro, mentre lo stock del debito salirebbe in prossimità dei 2.600 miliardi. Ci stiamo avviando a un rapporto del 160-170%, destinato a non dimagrire nemmeno quando la crisi provocata dall’emergenza Covid sarà stata del tutto superata.

Agli occhi dei burocrati di Bruxelles e, soprattutto, di politici e accademici tedeschi, la situazione sarebbe più semplice di quanto pensiamo: lo stato italiano era gravato da circa 2.410 miliardi di debiti a fine 2019, ma le famiglie italiane possedevano assets per complessivi 10.000 miliardi. La Bundesbank, qualche anno fa, è stata piuttosto tranciante, consigliando a Roma di seguire la seguente strada: imposta patrimoniale del 14% sui patrimoni, così da abbattere il debito pubblico a livelli sostenibili e tali da riportare la fiducia nel Bel Paese.

Il caso italiano

Queste soluzioni sono sempre giudicate impraticabili dopo un’analisi non superficiale. Dei 10.000 miliardi di ricchezza privata in Italia, ad esempio, solo per 4.300 risulterebbe di tipo finanziaria, per il resto parliamo di beni immobili o mobili registrati e non.

Come si fa ad imporre un’imposta su un bene non liquido? Un contribuente sprovvisto del denaro per il pagamento dovrebbe per caso mettere in vendita casa o parte di essa? Evidentemente, non è questa la soluzione. E nemmeno con riferimento alla parte finanziaria risulta facile tradurre in fatti questa proposta. Se un italiano ha 100.000 euro investiti in azioni, obbligazioni, fondi, etc., come farebbe a pagare l’imposta patrimoniale? In teoria, dovrebbe liquidare gli investimenti per la quota almeno sufficiente ad adempiere al pagamento.

Bond Cile, la legge sui fondi pensione avrà un impatto negativo?

Vi immaginate quale tracollo sui mercati finanziari, se improvvisamente ci ritrovassimo dinnanzi all’esigenza di liquidare posizioni per centinaia e centinaia di miliardi di euro in Italia e all’estero? Eppure, questa che sembra una follia sta diventando realtà in Cile in questi giorni. Il Parlamento ha ceduto alle pressioni dell’opinione pubblica e ha approvato una legge che consente ai cittadini iscritti a un fondo pensione (è la regola nel paese andino) di ritirare fino al 10% dei versamenti effettuati, in modo da superare con minori difficoltà la grave crisi economica che attanaglia il paese in emergenza Coronavirus.

Il Perù ha fatto da apripista con una proposta simile e che arriva a concedere agli iscritti a una cassa di previdenza il diritto di ritirare fino al 25% dei versamenti. Il Messico si accinge a percorrere la stessa strada. Si tratta di soluzioni demagogiche, che rischiano di intaccare i conti pubblici in futuro, quando i lavoratori andranno in pensione con assegni ben più bassi per via del minore montante accumulato, e che, soprattutto, minano alle basi la fiducia dei mercati finanziari verso questi paesi. Di fatto, un fondo d’investimento non sarebbe più capace di programmare a lungo e potrebbe mettersi in fuga all’estero per sottrarsi alle logiche emergenziali dei governi.

Il precedente cileno

Attenzione, però, perché l’aria che tira non sembra buona nemmeno sui mercati maturi, dove sta attecchendo una visione sempre meno “market friendly”, che i governi sposano per opportunismo politico, ovvero per evitare di sconnettersi troppo dalle rispettive opinioni pubbliche. Se l’esperimento di Santiago, in particolare, andrà in porto senza grosse difficoltà, a Roma come a Bruxelles ci si convincerà che anche in Italia sarebbe possibile intaccare gli investimenti finanziari senza temere sconquassi, magari confidando nel sostegno che in questa fase tutte le banche centrali stanno offrendo ai mercati con maxi-acquisti di assets, alias maxi-iniezioni di liquidità.

La patrimoniale sarebbe una estrema ratio per un governo politico, ma se fosse prospettata quale “conditio sine qua non” per ottenere liquidità dall’Europa e garantirci un clima mite sui mercati, a Roma troveranno il modo di farcela passare come una misura salvifica, magari pure di giustizia sociale, perché metterebbe le mani in tasca “ai ricchi” per abbattere il debito di tutti. Del resto, dopo mesi di negazionismo inizia a prendere forma anche il ricorso al MES dopo l’estate e, possibilmente, le elezioni regionali di settembre, con la scusa che il fondo risulterebbe per l’Italia con “minori vincoli” di quanti annessi al Recovery Fund. Peccato che ci abbiano spacciato quest’ultimo come una vittoria incondizionata dell’Italia in Europa, grazie ai pugni sbattuti sul tavolo dal premier Giuseppe Conte. Ma a rischiare di finire KO siamo noi contribuenti italiani.

Tira aria di patrimoniale in Italia: chi e su cosa rischia e perché non funzionerà

[email protected]