Ha resistito alle lusinghe arrivategli dalla premier Giorgia Meloni in merito alla nomina di ministro dell’Economia. E a tre settimane dall’insediamento del nuovo governo, Fabio Panetta ha iniziato ad alzare la voce a Francoforte. Il consigliere esecutivo della BCE ha partecipato ieri a un convegno a Firenze, nel corso del quale ha ribadito la necessità di una politica monetaria restrittiva per combattere l’inflazione nell’Eurozona. Ciò è servito, ha spiegato, ad evitare che essa si radicasse nell’economia.

Ma ha anche aggiunto che sarebbe un errore proseguire con un’impostazione eccessivamente restrittiva e tale da pregiudicare l’andamento futuro dell’economia. Il rischio, spiega, consiste nell’adottare misure di cui attualmente non staremmo cogliendo appieno l’impatto. Ha invitato a notare, poi, che la politica monetaria tende a trasmettersi in ritardo, per cui i risultati delle azioni già prese si vedranno nei prossimi mesi.

Da qui al 2024, sempre Panetta, la crescita dell’economia nell’Eurozona si ridurrà dell’1% all’anno rispetto allo scenario di una mancata stretta monetaria come atteso ancora nel dicembre 2021. In altre parole, il banchiere italiane lancia l’allarme circa il rischio di strozzare in maniera irreparabile il PIL nell’area.

Rialzo dei tassi pesa su crescita PIL

Le sue parole sono sembrate non solo controcorrente, bensì anche una sorta di controcanto rispetto all’impostazione della BCE così fedelmente sposata dai suoi principali esponenti. La scorsa settimana, erano scesi in campo ben quattro membri del board per difendere il rialzo dei tassi d’interesse contestato principalmente dal presidente francese Emmanuel Macron e dalla premier italiana. Il vice-governatore Luis de Guindos aveva spiegato che l’istituto fa solo il suo lavoro, mentre la consigliera tedesca Isabel Schnabel aveva sostenuto la necessità di alzare i tassi fino ad oltre il punto di strozzatura dell’economia. La sua posizione, condivisa dai banchieri di Slovenia e Slovacchia, paventa una sorta di recessione “guidata” per piegare l’inflazione.

Panetta ambisce al ruolo di governatore della Banca d’Italia al termine del mandato di Ignazio Visco nell’autunno 2023. Egli è rinomatamente una “colomba” in seno alla BCE, cioè propende per una politica monetaria espansiva. Al contrario, la Bundesbank capeggia il gruppo dei “falchi”, che grosso modo corrisponde al Centro-Nord Europa. Lo schema è lo stesso che si ripete da anni, con la Francia nel mezzo a mediare e a non spendersi mai eccessivamente per l’una o per l’altra posizione.

I timori di Panetta riflettono i sentimenti imperanti in questa fase nel Sud Europa, Italia in testa. La stretta sui tassi ha un duplice effetto: fa salire il costo di emissione del debito pubblico e riduce la crescita economica. Entrambi i fenomeni minacciano la sostenibilità fiscale, in quanto tendono ad aumentare il rapporto tra debito e PIL. Ma non esiste alternativa con un’inflazione salita a ottobre al 10,7% nell’Eurozona. Anche se in forte aumento, i tassi d’interesse sono saliti solo al 2%, cioè in termini reali restano estremamente negativi. E da qui al 2024 non è intravista dalla stessa BCE alcuna discesa dell’inflazione intorno al target del 2%.

Panetta teme il QT della BCE

A preoccupare Panetta è forse non tanto il ritmo dei prossimi rialzi dei tassi, perlopiù scontato dal mercato. E’ il “quantitative tightening” a seminare la paura. Finora la BCE ha riacquistato tutti i bond in scadenza che detiene in portafoglio. Se smettesse di farlo o, peggio, se iniziasse a rivenderli, i rendimenti sovrani e corporate salirebbero ulteriormente e gli spread di amplierebbero. Gli investitori, infatti, vedrebbero il debito pubblico di paesi come Italia e Grecia più a rischio con una mossa di questo tipo.

Come sempre capita quando aprono bocca “falchi” e “colombe”, in gioco non c’è tanto la vittoria dell’una o dell’altra impostazione monetaria, quanto gli interessi nazionali che rappresentano in seno al board.

Il Nord Europa teme più l’impatto dell’alta inflazione sulle sue economie, mentre il Sud Europa per la sostenibilità dei suoi debiti e l’impatto sulla crescita del PIL. Fino alla fine del 2019, Mario Draghi da governatore fu più sensibile alle istanze del Sud. Con Christine Lagarde alla plancia di comando la direzione alla BCE è stata molto più ondivaga e meno rassicurante per tutti.

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