L’oro ha sfondato questa settimana la soglia dei 1.950 dollari e si avvicina sempre più a quota 2.000. La quotazione del metallo è salita ai massimi dall’aprile dello scorso anno. Quest’anno, guadagna il 7%, percentuale corrispondente a circa 130 dollari. Resta sotto i massimi storici di 2.044 dollari, ma la corsa sembra appena iniziata. Essa risulta trainata da un vero boom della domanda. Sono state 4.741 le tonnellate acquistate nel 2022, il 18% in più dell’anno precedente e dato più alto dal 2011. Di queste, 1.136 sono state le tonnellate acquistate dalle banche centrali, ai massimi da 55 anni, cioè dal lontano 1967 e +152% sul 2021.

Su anche la domanda per investimenti del 10% a 1.107 tonnellate, mentre la gioielleria ha segnato una contrazione del 3% a 2.086 tonnellate.

Contrariamente ad altre materie prime, di oro se n’è prodotto a sufficienza lo scorso anno: offerta per 4.755 tonnellate, 14 in più della domanda, a fronte di 3.612 tonnellate estratte, ai massimi da 4 anni. E forse questi numeri contribuiscono a spiegare anche perché, tutto sommato, le quotazioni nel corso del 2022 siano rimaste perlopiù sotto i livelli di apertura dell’anno.

Ma c’è un fattore sopra ogni altro ad incidere sui livelli della domanda: il dollaro. Contro le principali valute mondiali è sceso ai minimi dall’aprile scorso, segnando un tracollo dell’11% dall’apice toccato in ottobre. Il biglietto verde sta collassando. Chi segue l’andamento del cambio euro-dollaro lo sa. In pochi mesi, siamo passati da un minimo di 0,95 al superamento della soglia di 1,10 nella mattinata di giovedì scorso. E un dollaro più debole significa una sola cosa per i non americani: l’oro è più a buon mercato!

Oro tra dollaro giù e tensioni

La domanda di oro sale, dunque, forse principalmente grazie al dollaro debole, così come le quotazioni erano state azzannate nel 2022 a causa del super-dollaro. A sua volta, l’indebolimento è stato causato dalla convergenza monetaria crescente tra Federal Reserve e le altre principali banche centrali.

Inizialmente, la FED fu tra le prime ad alzare i tassi d’interesse contro l’inflazione. Man mano che gli altri istituti l’hanno seguita, il gap sui tassi si è ridotto e ciò ha intaccato il dollaro a favore di valute come euro, sterlina e persino yen.

Con questa settimana, siamo arrivati al punto di svolta: la FED ha alzato i tassi dello 0,25%, la BCE dello 0,50%. La convergenza tra le due banche centrali più importanti del pianeta accelera. Formalmente, però, l’aumento dei tassi porterebbe al calo delle quotazioni dell’oro per effetto della crescita dei rendimenti obbligazionari. L’investitore avrebbe modo di puntare i propri capitali sui bond per metterli a frutto, anziché accontentarsi di un asset senza cedola. Ma è anche vero che i tassi reali di questi mesi restano negativi ovunque. Dunque, l’oro continua a rivelarsi un asset prezioso contro l’inflazione.

D’altra parte, le aspettative d’inflazione stanno “raffreddandosi” con il rialzo dei tassi e ciò deprimerebbe l’oro. D’altra parte, tensioni geopolitiche e previsioni macro incerte lo aiutano a superare tali ostacoli. Il 2023 potrebbe essere ricordato come l’anno in cui il metallo prezioso ha raggiunto nuovi massimi storici e ha mantenuto il suo prezzo a lungo sopra 2.000 dollari. A differenza del 2020 e del 2022, infatti, la corsa dell’oro quest’anno potrebbe essere tutt’altro che istantanea e portare alla stabilizzazione dei prezzi sui livelli record di sempre.

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