Il 2017 si apre come era iniziato l’anno appena trascorso, ovvero alle prese con la crisi delle banche italiane. Ma c’è una novità rispetto a un anno fa: il varo del decreto “salva risparmio”, che stanziando fino a 20 miliardi di euro pubblici, di fatto s’imbarca nel salvataggio di MPS, nazionalizzandola nelle forme che vedremo solo con l’attuazione del piano del Tesoro. Il decreto del governo Gentiloni, emanato il 22 dicembre scorso, segna uno spartiacque per la crisi del comparto.

Lo evidenziano le movimentazioni avvenute nelle ultime sedute sul mercato delle obbligazioni subordinate, i titoli di credito più a rischio per il caso di crisi della banca, che con il bail-in entrato in vigore appena un anno fa sono i primi esposti all’azzeramento dopo le azioni, in caso di salvataggio pubblico, secondo il principio del “burden sharing”, ovvero della condivisione dei costi tra stato e investitori privati. (Leggi anche: Salvataggio MPS per pagare i debiti opachi di pochi amici)

Ebbene, diamo uno sguardo a quant’è avvenuto nelle ultime sedute al mercato dei bond bancari. Partiamo dai subordinati 15 maggio 2018 Upper Tier II di MPS, emessi nel 2008 per oltre 2 miliardi di euro e in mano a 40.000 risparmiatori retail. Si stima che appena il 10% degli obbligazionisti attuali abbia acquistato tali titoli all’atto della loro emissione. I bond e le azioni MPS sono sospese dalle contrattazioni sin dal 22 dicembre scorso, in attesa proprio del varo del decreto e lo saranno fino a quando il mercato non avrà chiaro il quadro delle informazioni necessarie per procedere alle negoziazioni, essendo in corso l’intervento statale.

Obbligazioni bancarie MPS in forte calo

Sappiamo, però, che in 5 settimane, il suddetto bond ha perso ben il 40% del suo valore, scendendo a un prezzo di 45,85, risultando così più che dimezzato rispetto al valore nominale. Si tratta, a tutti gli effetti, di un titolo spazzatura e che se oggi fosse negoziato sul mercato, probabilmente scenderebbe ancora di molto, dato che sarà convertito in azioni MPS, ovvero in altri titoli, che solo nel 2016 hanno perso quasi l’88%.

Tuttavia, grandi affari sono stati compiuti dal giorno del varo del decreto, come dimostrano altri bond di banche italiane altrettanto in crisi. Le obbligazioni Carige 2020 Lower Tier II hanno perso dall’inizio di novembre il 15%, non tantissimo, ma in una sola seduta, grazie all’intervento del governo sono risalite dell’11,5%. Chi ha comprato questi titoli il 22 dicembre e li ha rivenduti il giorno seguente ha potuto portare a casa un profitto a due cifre, non mica nell’era dei tassi zero. (Leggi anche: Obbligazioni subordinate, nuovo scandalo a Siena)

 

 

 

 

L’andamento a U delle obbligazioni subordinate

Ancora meglio è andato ai bond subordinati della Popolare di Vicenza con scadenza 2025. Da ottobre hanno quasi dimezzato il loro valore, ma rispetto alla seduta del 21 dicembre scorso segnano un rialzo del 45%. E il bond subordinato di Veneto Banca, sempre con scadenza 2025, ha perso il 25% negli ultimi due mesi, ma impennandosi del 46,5% dal 21 dicembre scorso.

Le variazioni sono state insignificanti per i prezzi delle obbligazioni subordinate di banche più solide come Unicredit e Intesa Sanpaolo, quasi insensibili all’intervento del governo, i quali semmai hanno performato molto bene dalla fine di novembre, quando avevano toccato punti molto bassi.

Dobbiamo pensare male?

Chi avesse comprato, dunque, questi bond un attimo prima che il governo decretasse l’intervento pubblico, oggi avrebbe in mano fino al 50% di valore in più in poche sedute. Niente di male, sperando che come spesso capita, quando di mezzo ci sta la politica, qualcuno non abbia avuto qualche soffiata sulle modalità del salvataggio pubblico di MPS, specie sull’esclusione degli obbligazionisti subordinati retail dalle perdite, attraverso il meccanismo della doppia conversione in azioni prima e in obbligazioni senior dopo.

Per quanto verrebbe da pensare male, i movimenti dei prezzi appaiono netti, nel senso che fino all’annuncio del decreto, i prezzi dei bond erano in calo, solo dopo risultano schizzati. Se grossi investitori avessero avuto una soffiata, avremmo dovuto assistere a una ripresa dei corsi anche ore o giorni prima del varo ufficiale del decreto. (Leggi anche: MPS salvata dallo stato, ecco cosa devono sapere gli obbligazionisti)

 

 

 

 

E’ stato davvero un affare?

Infine, ammesso che un investitore retail, magari dal cuore forte, avesse acquistato subito dopo il decreto, possiamo dire che abbia fatto un affare? Virtualmente sì, dato il trend dei prezzi, ma forse niente affatto. Anzitutto, perché i guadagni sono tali solo una volta monetizzati e per farlo dovrebbero rivendersi i titoli a terzi. Ma siamo sicuri che d’ora in avanti si riesca a farlo, visto che parliamo di mercati poco liquidi, caratterizzati da emissioni dalle dimensioni scarse? Ed è intelligente ritrovarsi in mano obbligazioni subordinate in piena crisi bancaria e con il bail-in che incombe?

Dovremmo allora ipotizzare che i beneficiari di questi acquisti natalizi siano i grossi investitori, gli istituzionali. Anche in questo caso, niente di male. Certo, fa senso verificare che alla fine a rimetterci con la crisi delle banche italiane siano i contribuenti, mentre a farci soldi siano i soliti noti. (Leggi anche: Banche italiane salvate con le tasse dei contribuenti)