L’11 settembre si terranno le elezioni politiche in Norvegia e il centro-destra del premier Erna Solberg un risultato potrà sbandierarlo: avere dimezzato la dipendenza dell’economia nazionale dal petrolio. Le estrazioni di greggio e gas sono nel paese nordico le più alte al mondo, escludendo il Medio Oriente. Esse pesavano per il 22% del pil norvegese nel 2012, mentre oggi arrivano a contare per il 12%, pur continuando a valere all’incirca la metà del valore delle esportazioni. In realtà, il tracollo ha a che fare con lo schianto accusato dalle quotazioni internazionali, che attualmente viaggiano sotto i 50 dollari, quando poco più di tre anni fa risultavano salite a 115 dollari.

Per fortuna, la Norvegia può disporre di un fondo sovrano da oltre 900 miliardi di dollari, il più grande al mondo ed alimentato proprio dagli introiti del greggio, dal quale il governo ha ottenuto negli ultimi anni le risorse necessarie per predisporre un piano di stimoli fiscali a sostegno della crescita. (Leggi anche: Investimenti azionari per $87 miliardi dalla Norvegia)

L’economia norvegese ha parzialmente compensato la crisi del settore petrolifero puntando sul comparto immobiliare, tanto che gli investimenti realizzati in quest’ultimo hanno superato ormai quelli nel primo. Nel primo trimestre, ammontavano rispettivamente a 46 miliardi di corone contro i 37-38 miliardi. Il punto è che anche i prezzi delle case stanno scendendo nella capitale Oslo, in particolare, lasciando all’economia potenziale di crescita basato sui consumi interni e le esportazioni non petrolifere, ovvero le stesse leve su cui fanno affidamento gli altri paesi europei non così fortunati in tema di materie prime possedute.

Costo del lavoro si normalizza

Secondo gli analisti di DNB, la Norvegia dovrà rassegnarsi a ritmi di crescita “normali”, ovvero inferiori al 2%, quando ad oggi ha potuto contare su una media del 2,5%, trainata dal petrolio. La banca centrale prevede, ad esempio, un aumento del pil per quest’anno e il prossimo del 2% e dell’1,9% rispettivamente.

La ricca economia nordica, che è anche quella con il più alto costo della vita al mondo, sta assistendo anche a una normalizzazione del suo costo del lavoro, che se tra il 2012 e il 2013 si mostrava più alto di oltre il 35% rispetto a quello dei partner commerciali, oggi ha ridimensionato il suo differenziale positivo a un più contenuto 15%. (Leggi anche: Lavorare in Norvegia, ecco le professioni più richieste)

La svolta green della Norvegia

La Norvegia è anche il primo paese ad avere annunciato il divieto assoluto dal 2020 per le abitazioni di riscaldarsi con l’uso di derivati del petrolio. La finalità consiste nel tagliare di 340.000 tonnellate all’anno le emissioni di CO2 e se il passo dovesse essere seguito dagli altri paesi, si otterrebbero risultati eclatanti nella lotta all’inquinamento, considerando che negli USA, il riscaldamento delle abitazioni private peserebbe per il 39% delle emissioni di CO2 complessive. La Norvegia è anche il primo paese al mondo ad ambire alla vendita di sole auto elettriche entro il 2025 in quella che potremmo considerare un apparente paradosso per un’economia fondata sul petrolio, ma che si sta mostrando intenzionata a diventare sempre più “green”.

Secondo un sondaggio Reuters, la corona norvegese dovrebbe rafforzarsi del 5,5% contro il dollaro da qui ai prossimi 12 mesi, del 5,6% contro l’euro. Un problema per la banca centrale, il cui target d’inflazione è del 2,5% e che negli ultimi mesi sta assistendo alla riduzione dei tassi di crescita annuali dei prezzi al 2,1% di maggio, dopo che questi erano risultati fino a oltre il 4% nel 2016. E pensare che solo nel marzo scorso la Norges Bank ha tagliato i tassi al minimo storico dello 0,5%. (Leggi anche: La Norvegia non si cura dell’inflazione e la corona continua a scivolare)