Sono passati pochi giorni da quando il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, partecipava all’incontro del G7 a Hiroshima per segnalare il pieno sostegno dei grandi della Terra a Kiev nella guerra contro la Russia. Quelle immagini sbiadiscono dopo che il settimanale tedesco Der Spiegel anticipava nello scorso fine settimana qualche dettaglio circa l’esito delle indagini dell’autorità federale contro il crimine in Germania circa il sabotaggio di Nord Stream 2. Le tracce porterebbero in misura crescente a Kiev, si legge.

E questa non è una notizia marginale, ma rischia di provocare una frattura profonda in seno all’Europa e tra Europa e Stati Uniti sulla linea anti-russa.

Partiamo dai fatti. Nel mese di settembre, alcune esplosioni avvenute nel Mar Baltico compromettevano la funzionalità di Nord Stream 2, il gasdotto di oltre 1.200 km che parte dalla Russia e arriva in Germania. Sarebbe dovuto entrare in attività dall’autunno del 2021, ma le tensioni sull’Ucraina hanno nei fatti posto fine al progetto prima ancora che iniziasse a produrre i suoi frutti. Gli Stati Uniti, pur non ufficialmente, fecero sapere nei mesi successivi che il sabotaggio sarebbe avvenuto ad opera della Russia di Vladimir Putin. Sarebbe stato nei fatti un “auto-sabotaggio”.

Crisi del gas minaccia modello tedesco

Adesso, la Germania sarebbe arrivata alla conclusione che non siano stati i russi, bensì gli ucraini a fare saltare Nord Stream in più punti. Chiaro l’obiettivo: impedire definitivamente al gas russo di affluire in Europa tramite la nuova pipeline. I tempi delle indagini sono tipicamente lunghi, specie se riguardano aspetti così delicati dal punto di vista economico e geopolitico. Tuttavia, sembra strano che Berlino abbia deciso ufficiosamente di dire la sua a distanza di otto mesi dall’accaduto. La tempistica non sarebbe casuale.

La Germania è entrata ufficialmente in recessione. Il suo PIL si è contratto anche nel primo trimestre dell’anno, a causa del calo dei consumi interni.

Tutti gli indicatori macroeconomici segnalano che l’economia tedesca si stia indebolendo. Ed è per il momento l’unica in Europa. Italia, Spagna e Francia crescono. Il punto è che la crisi del gas ha impattato in Germania più che altrove. La “locomotiva d’Europa” produceva grazie ai bassi costi dell’energia ed esportava in maniera competitiva nel resto del mondo. Questo schema è saltato tra guerra e ancora prima pandemia. La chiusura dei mercati e la conseguente interruzione delle catene di produzione hanno assestato un duro colpo alle imprese tedesche.

Quella in corso rischia di rivelarsi per la Germania una crisi d’identità. Il modello tedesco è minato alle basi. Superato l’inverno meglio delle attese, Berlino sperava di avere almeno scampato la recessione nell’immediato. Non è avvenuto, contrariamente al resto del continente. Ciò sta innervosendo non solo il governo Scholz, bensì soprattutto il sistema industriale domestico. E a questo punto la prima economia europea starebbe passando al contrattacco. Ha iniziato ad alzare la voce o, perlomeno, a fare sentire la sua.

Nord Stream, Germania in recessione va su tutte le furie

Le conseguenze del dossier Nord Stream potranno essere finanche traumatiche. In pratica, la Germania sta parlando indirettamente agli Stati Uniti per fare recapitare al presidente Joe Biden il seguente messaggio: sappiamo chi c’è dietro al sabotaggio del gasdotto e pretendiamo compensazioni. Molto difficile, se non impossibile, che i tedeschi si sfilino dall’alleanza anti-russa. Sarebbe una crisi geopolitica forse senza precedenti dal Secondo Dopoguerra in seno all’Occidente. Tuttavia, la Germania ha appena fatto sapere in soldoni di ritenersi in credito con gli alleati. Farà verosimilmente valere le proprie ragioni, pur inviando armi all’Ucraina e tenendo unito il fronte anti-Putin.

Ai tedeschi non va giù in questi mesi l’Inflation Reduction Act (IRA) dell’amministrazione Biden.

Formalmente, un piano per agevolare la transizione energetica. Nel concreto, un maxi-incentivo alle produzioni locali di stampo “sovranista”. I timori di Berlino riguardano particolarmente i sussidi generosi al settore automotive. In gioco c’è la sopravvivenza del cuore pulsante della produzione tedesca. Ed ecco che da mesi sono forti le pressioni sulla Commissione europea per allentare i vincoli legislativi agli aiuti di stato. A differenza degli alleati, perlopiù squattrinati, la Germania è consapevole di disporre di margini fiscali per sussidiare le proprie imprese e cercare di vincere la sfida della transizione energetica.

Questo è vero fino a un certo punto. Di debito in debito, rischia di “mediterraneizzarsi”, perdendo la caratteristica che l’ha resa forte e invidiata in tutti questi anni: la prudenza fiscale. E Nord Stream è lì a ricordare che nel frattempo l’economia tedesca ha perso il suo punto di forza, vale a dire l’accesso al gas a basso costo per la produzione nazionale. Il messaggio a Zelensky sembra altrettanto cristallino: il sostegno all’Ucraina continuerà ad esserci fintantoché gli interessi tedeschi non saranno intaccati in maniera insostenibile. “Abbiamo già dato”, sembrano far notare a Berlino. La musica sta cambiando, la recessione ha fatto saltare i nervi ai leader de facto dell’Unione Europea.

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