Che l’economia nella Corea del Nord non fosse florida lo avevamo intuito, ma che persino il suo leader si facesse cogliere in un video a piangere per l’incapacità di migliorare le condizioni di vita della popolazione non avremmo mai potuto immaginarlo. Eppure, è successo. Da ieri è stata data notizia dalla stampa americana che Kim Jong-Un abbia inviato ai dirigenti del partito un video, in cui si mostra in lacrime per la miseria in cui versa l’economia nazionale. Un fatto apparentemente scioccante per un uomo, che formalmente viene considerato un semi-dio in patria.

Cosa succede? Il messaggio all’establishment comunista di Pyongyang sembra essere chiaro: bisogna cambiare. Non solo, perché diversi analisti, compresi alcuni fuggiti dallo stato eremita, hanno espresso la convinzione che si tratti di un atto di propaganda per preparare la popolazione a importanti cambiamenti imminenti.

Kim Jong-Un a un passo dalla storia, l’economia in Nord Corea richiede apertura

E sempre dagli USA arriva la notizia che il leader nordcoreano sarebbe intenzionato ad aprire un punto vendita di burger nella capitale come segnale distensivo nei confronti del presidente USA, Donald Trump, che è notoriamente ghiotto di panini da fast food. Sarebbe anche in questo caso un passo clamoroso, perché le catene di fast food vengono percepite nelle dittature comuniste quali emblema dell’imperialismo a stelle e strisce e del capitalismo contro cui combattono.

Nel 2017, l’economia nazionale avrebbe continuato a crescere, ma emergerebbe un tracollo del 30% per le esportazioni, a causa delle sanzioni ONU. In particolare, la Corea del Nord risulta avere importato merci per 3,3 miliardi di dollari dalla Cina, partner commerciale quasi esclusivo, esportandone per 1,6 miliardi, registrando così un disavanzo verso Pechino di 1,7 miliardi. Non pochi per un’economia, il cui pil si attesterebbe tra 30 e 35 miliardi.

L’atteso vertice con Trump

Le novità che starebbero per essere annunciate o attuate da Kim Jong-Un sarebbero legate al summit con Trump, atteso per il 12 giugno a Singapore.

La Casa Bianca lo aveva cancellato nei giorni scorsi, ma Trump ha ammorbidito i toni successivamente e il suo segretario di Stato, Mike Pompeo, ha cenato in questi giorni con un alto funzionario nordcoreano a New York proprio per cercare di preparare il vertice bilaterale, che Trump vorrebbe durasse più di un giorno, in modo da assumere un significato di portata storica. Le distanze tra le parti restano sul disarmo nucleare. Pyongyang si è impegnata a denuclearizzare, ma sui tempi non c’è accordo. Secondo diversi esperti americani, potrebbero servire fino a 15 anni, sempre che dal regime stalinista arrivino azioni di effettiva collaborazione.

In primavera, Kim Jong-Un ha annunciato di avere completato la campagna nucleare e, pertanto, sarebbe stata parzialmente soddisfatta la politica del “byungjin”, inaugurata 5 anni fa e che consiste nel seguire il doppio binario della corsa al nucleare e della crescita economica. Quanto al secondo punto, tuttavia, i progressi restano scarsi e informali, visto che il regime si è limitato a tollerare le iniziative private dei piccoli imprenditori, non codificandole in una riforma vera e propria. Stando ai resoconti dei colloqui del mese scorso con il leader sudcoreano, Moon Jae-In, il dittatore gli avrebbe confidato di preferire il modello vietnamita e non quello cinese, in quanto il primo gli consentirebbe di mantenere i valori socialisti e al contempo di tenere buone relazioni con l’America.

Il Vietnam ha intrapreso la politica del Doi Moi nel 1986, basata sull’eliminazione del controllo dei prezzi, sull’apertura agli investitori stranieri, sulla decentralizzazione dei processi decisionali e il riconoscimento del settore privato. I risultati sono stati strabilianti, visto che in poco più di 30 anni, il pil pro-capite è salito da 100 a 2.000 dollari. E oggi Hanoi vanta ottime relazioni con l’amministrazione Trump, nonostante si tratti dello stato che combatté contro gli americani una cruenta guerra tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Settanta.

Trump incontrerà Kim Jong-Un

I timori di Kim Jong-Un

Gli USA con Pompeo hanno segnalato chiaramente a Kim Jong-Un di volere sostenere l’economia nordcoreana con investimenti privati, a patto che Pyongyang rinunci al nucleare. In teoria, l’America potrebbe dare una mano al regime agendo sul Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che ha comminato al paese asiatico ben 9 sanzioni. Si vocifera che, addirittura, per agevolare il buon esito del vertice, già prima del 12 giugno il Palazzo di Vetro potrebbe allentare una o più sanzioni su richiesta degli stessi USA. Fino a quando le sanzioni rimarranno attive, nessun investitore straniero investirà mai nella Corea del Nord, nemmeno nello Spazio Economico Speciale, che prevede condizioni favorevoli ai capitali privati.

Insomma, pane contro cannoni. Trump offrirebbe a Kim Jong-Un la possibilità di allacciare relazioni commerciali con gli USA e di beneficiare di investimenti americani in loco, ottenendo in cambio la rinuncia ai piani nucleari. Il giovane dittatore sarebbe in sé favorevole, ma teme due cose sopra ogni altra: di perdere il rispetto della potente lobby militare e di finire come Saddam Hussein e Muhammar Gheddafi, nemici dell’America ed eliminati anche fisicamente insieme ai loro regimi per la mancanza di una minaccia nucleare. In realtà, esiste anche un rischio non di poco conto per la dittatura comunista più chiusa al mondo, ossia che aprendo al resto del mondo dovrà rimuovere almeno parte della censura totale imposta al suo interno, dove ancora oggi resta impossibile collegarsi a internet, disponendo semmai i nordcoreani comuni di una rete nazionale chiusa (intranet) per comunicare senza “ingerenze” esterne. Il terzo dittatore della dinastia dei Kim vuole migliorare lo stato dell’economia nordcoreana sin da quando è succeduto al padre alla fine del 2011, ma rischia proprio per questo di creare le condizioni per un indebolimento del regime.

L’Unione Sovietica insegna.

Ecco il vero pericolo per Kim Jong-Un

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