Non c’è solo l’IRPEF nel mirino del governo Meloni. La riforma fiscale a cui sta studiando riguarda anche tutte le altre principali imposte del sistema tributario italiano: IRES, IVA e IRAP. Come sappiamo, per quanto riguarda l’imposta sui redditi delle persone fisiche le aliquote scenderebbero da quattro a tre. A beneficiarne sarebbero, in particolare, i contribuenti con redditi tra 28.000 e 50.000 euro. Insomma, il ceto medio. Le coperture finanziarie sarebbero trovate sfoltendo la giungla delle detrazioni fiscali, cosiddette “tax expenditures”.

Ve ne sono 600 per un mancato gettito fiscale di 156 miliardi all’anno. Se considerate che nel 2022 il gettito IRPEF fu di 205,8 miliardi, capite bene l’assurdità del nostro sistema fiscale. Con una mano dà e con l’altra toglie ancora di più. A tale proposito, l’idea che prenderebbe piede sarebbe di fissare al 4% dei redditi dichiarati il monte-massimo delle detrazioni consentite. Per i redditi più alti, però, tale percentuale sarebbe ridotta fino ad azzerarsi.

IRES, più assumi e meno paghi

Questa filosofia – minori detrazioni in cambio di aliquote più basse – si applicherebbe tendenzialmente alle altre imposte. E l’IRES è un’altra imposta di peso per le entrate statali: 45,6 miliardi di euro il gettito dello scorso anno. Riguarda le persone giuridiche, cioè essenzialmente le società di capitali (srl e spa). Qui, la riforma del governo Meloni sarebbe improntata al taglio dell’aliquota dal 24% fino a un minimo del 15% sulla base degli investimenti realizzati in beni strumentali e delle assunzioni. Quelle agevolate a tal fine sarebbero di donne, over 50 e percettori di reddito di cittadinanza.

La riforma dell’IRES, quindi, sarebbe impostata su quel “più assumi (e investi) e meno paghi“, che fu un cavallo di battaglia di Giorgia Meloni in campagna elettorale. Sempre per le imprese arriverebbe la novità della cancellazione dell’IRAP, anche se non sappiamo se subito o nel corso di più anni.

Sarebbe sostituita da una sorta di addizionale IRES, similmente a quanto previsto dalla delega fiscale del governo Draghi.

Sfoltimento aliquote IVA

E c’è, infine, l’IVA. L’imposta sul valore aggiunto colpisce i consumi finali. Il suo gettito nel 2022 ha superato i 170 miliardi. In questo caso, il governo vorrebbe adottare una razionalizzazione delle aliquote. Nei decenni, numerosi interventi legislativi, alcuni dei quali avrebbero dovuto essere momentanei, si sono sedimentati con il risultato di avere moltiplicato le aliquote non sempre con una logica sottostante. Non si capisce più quali siano beni e servizi di prima utilità sottoposti ad aliquote più basse. Può capitare che alcuni prodotti del paniere, anche alimentari, siano tassati come se fossero di secondaria importanza per i consumatori. E, al contrario, altri non di immediata necessità scontano una tassazione inferiore.

Portare un minimo di raziocinio nel farraginoso sistema fiscale italiana sarà importante per aumentare trasparenza e ordine tra i conti pubblici. La moltitudine di aliquote servono spesso a coprire interventi clientelari e assistenziali della politica. Ne soffre l’efficienza dell’intera economia. A parità di gettito, meglio sarebbe avere minori aliquote e più basse (se non una sola) con meno detrazioni. Il contribuente deve percepire subito quanto paga. Le corporazioni diffuse alzeranno certamente la voce. Le miriadi di bonus hanno “drogato” gli acquisti delle famiglie e sussidiato spesso comparti produttivi con scarsa innovazione di prodotto e pochi investimenti. La strada per la riforma fiscale è solo stata appena imboccata.

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