Sono 4 i consiglieri di amministrazione della Rai nominati dalla Camera e dal Senato nel pomeriggio di ieri. Si tratta di Giampaolo Rossi (in quota Fratelli d’Italia) e Igor De Biasio (Lega) eletti dai deputati, mentre i senatori hanno esitato i nomi di Beatrice Coletti (Movimento 5 Stelle) e Rita Borioni (PD). Le trattative tra i partiti si erano sbloccate già martedì sera, quando si era deciso di assegnare la presidenza della Commissione di Vigilanza all’azzurro Alberto Barachini, già volto di Mediaset, mentre il Copasir, il Comitato di controllo sui servizi segreti, è andato a Lorenzo Guerini (PD).

Dunque, confermata la prassi per cui le opposizioni guidano le commissioni di controllo, mentre la maggioranza diventa formalmente tale anche in seno al board di Viale Mazzini, sebbene bisognerà attendere anche le due nomine spettanti direttamente al governo. Per queste ultime si fanno i nomi di Giovanna Bianchi Clerici, ex deputata della Lega, e di Paolo Cellini. Entrambi hanno riscosso le maggiori preferenze nella votazione indetta dai grillini sulla piattaforma Rousseau.

Salvini da Pontida si è preso il centro-destra, tra poco anche Rai e governo 

Matteo Salvini chiede che la Bianchi Clerici vada alla presidenza della Rai, cosa che automaticamente farebbe sì che all’M5S spetti il direttore generale, il quale a sua volta nominerà i direttori delle testate di rete. Secondo le indiscrezioni, al TG1 andrebbe un grillino, al TG2 un leghista e al TG3 Federica Sciarelli. Insomma, Viale Mazzini cambia casacca, come sempre accade a ogni rinnovo del cda, quando al governo vi è una maggioranza differente dalla precedente. Solo che stavolta il “cambiamento” sarà ben più radicale, se è vero che per giornalisti e dirigenti si tratta di ingraziarsi uno schieramento nuovo rispetto a quanto eravamo abituati nella Seconda Repubblica, vale a dire l’area politica che fa capo a Lega e Movimento 5 Stelle.

La TV pubblica riuscirà nell’operazione di trasformarsi da voce acritica dell’establishment europeista e di centro-sinistra a cassa di risonanza delle posizioni euro-scettiche e anti-sistema? E con quale credibilità ci metteranno la faccia gli stessi personaggi che sinora ci hanno raccontato a tutte le ore di tutti i giorni la “loro” Italia, ovvero quella del PD che aveva nominato i loro capi? Vedremo. Nel frattempo l’Usigrai, il sindacato dei giornalisti Rai, critica la nomina di Barachini a capo della Vigilanza, sostenendo che “da una pessima legge non possono nascere buoni frutti”. In che senso? A sorvegliare sull’imparzialità e la buona gestione della TV di stato vi sarà per i prossimi tre anni un giornalista di Mediaset. Badate bene, non “ex”, perché essendo stato eletto senatore a marzo tra le file di Forza Italia, l’uomo ha semplicemente preso un’aspettativa da Cologno Monzese.

Un uomo di Berlusconi a vigilare sulla Rai

Ora, il fedelissimo di Berlusconi dovrebbe assicurarsi che il servizio pubblico venga svolto secondo le norme. Sarebbe come se un manager Volkswagen dovesse monitorare la produzione di Fiat Chrysler. Una volta tanto, i dubbi dell’Usigrai non appaiono infondati. Tuttavia, la Vigilanza conta una cicca. Il presidente ha semplicemente il compito di alzare la voce in favore della parte politica che lo ha piazzato in quel posto, quando ritiene che questa abbia poco spazio nelle reti pubbliche. Insomma, sappiamo in partenza che il senatore Barachini sarà, come tutti i suoi predecessori, il sindacato del partito/coalizione a cui appartiene. Nulla di nuovo sotto il sole.

Semmai, la sua nomina svelerebbe qualcosa di molto più interessante sul piano politico, ovvero che Forza Italia sarebbe un’opposizione di comodo, come il famoso sindacato giallo vietato per legge. Premessa: la guida della Vigilanza spettava all’opposizione e il bon ton istituzionale è stato rispettato.

Ma il profilo di Barachini sarebbe di quelli eccessivamente proni agli interessi di Silvio Berlusconi (in Mediaset curava le sue riprese in video), per cui appare difficile immaginare che i grillini, che avevano scartato Maurizio Gasparri per il ruolo, vi abbiano ripiegato inconsapevolmente, senza capire cosa stessero votando. Sembra il ripetersi dello schema per l’elezione alla presidenza del Senato della berlusconissima Maria Elisabetta Alberti Casellati.

Che cosa significherebbe tutto ciò? Forza Italia non può fare parte della maggioranza, pur avendolo voluto. Luigi Di Maio non si sarebbe potuto permettere di portare l’M5S nel governo sostenuto da Berlusconi. Ecco, quindi, che si è dovuti mediare con Salvini: dentro la Lega, grazie all’avallo dell’ex premier, il quale incasserà sulle nomine di Rai e forse anche delle authority e le altre partecipate statali, come verificheremo in seguito. Attenzione, perché al Cavaliere non interessa un fico secco che Viale Mazzini dia spazio sufficiente alle idee e le istanze del suo partito. Egli è sufficientemente intelligente per capire che Forza Italia è morta. Semplicemente, vorrà garantirsi che la TV di stato non inizi a fare concorrenza reale alla sua Mediaset, reduce da un enorme successo di ascolti e finanziario con i diritti sui mondiali di calcio; operazione resa possibile proprio dallo spirito rinunciatario della Rai.

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L’opposizione morbida del Cavaliere

In cambio di una concessione così politicamente “pesante”, il governo Conte otterrebbe dagli azzurri un’opposizione morbida. Non che sinora ne abbia condotta una sulle barricate, ma da qui in avanti i toni dei parlamentari azzurri potrebbero mostrarsi più rispettosi verso l’esecutivo e la stessa linea editoriale di Mediaset più accomodante. Se consideriamo che nel cda sia stato eletto anche un componente in quota Fratelli d’Italia, capirete da voi stessi che il centro-destra si è accasato in Viale Mazzini. E il PD? Il suo rappresentante in cda sarà l’unico probabile vero oppositore alla maggioranza giallo-verde, anche perché il Nazareno rischia di rimanere senza uomini propri tra dirigenti e direttori di testata.

Rai 3, infatti, potrebbe finire in mano a personalità sì di sinistra, ma non più organici al PD, bensì trasmigrati verso l’M5S.

Quella in corso è un’opera di derenzizzazione degli studi televisivi pubblici. Daremo presto l’addio a Mauro Orfeo, a Monica Maggioni, ad Andrea Montanari, insomma vi saranno parecchi avvicendamenti con annessa mutazione genetica dell’informazione di stato. L’unica cosa a rimanere uguale sarà il “rispetto” dei nuovi dirigenti verso la concorrenza Mediaset. Berlusconi è riuscito a garantirsi un altro triennio di riguardo a Viale Mazzini. Difficile credere che alzerà la voce contro il governo che lo ha rassicurato nei suoi interessi aziendali, specie se si inizierà a diffondere l’idea che sia destinato a durare ben più di quanto non si pensasse alla sua nascita.

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