Anche al secondo giorno di votazione è stata fumata nera. Nessun candidato ha raggiunto il quorum per essere eletto presidente della Repubblica. A stravincere è stata anche stavolta la scheda bianca, pur meno di lunedì. La giornata politica ha riservato un paio di sorprese: il centro-destra ha proposto una rosa di tre nomi (Letizia Moratti, Marcello Pera e Carlo Nordio), giudicata “di qualità” dal centro-sinistra, il quale però chiude. Il segretario del PD, Enrico Letta, ha chiesto e ottenuto un vertice tra tutti i leader dei partiti per oggi, al fine di trovare un’intesa.

Dall’altra parte, sembra che il centro-destra punti le sue carte sul presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, sperando di pescare voti tra i 5 Stelle e forse anche i renziani. I “grillini” la votarono già nel 2018 alla guida di Palazzo Madama, pur per ottenere uno scambio con Roberto Fico alla Camera. Ad ogni modo, il nome di Mario Draghi vacilla. Non sembra più il super favorito, sebbene i partiti di questi tempi ci abbiano abituati a cambi anche repentini di idea.

Se il premier non dovesse farcela, il vero rischio sarebbe la caduta del suo governo. Con l’elezione di un presidente di parte, i partiti soccombenti uscirebbero dalla maggioranza. Anche se ciò non accadesse, lo stesso Draghi avrebbe più di un dubbio se rimanere o andare via. Di fatto, la sua mancata elezione equivarrebbe a una sfiducia parlamentare. E in queste ore, parte della stampa fa pressione sui partiti proprio sulla prospettiva di esiti nefasti senza Draghi al Quirinale. E’ un dato di fatto che egli sia per l’Europa il garante dei quasi 200 miliardi di euro tra prestiti e sussidi del Recovery Fund. E i mercati finanziari si fidano probabilmente solo di lui e già lo spread segnala nervosismo.

Draghi premier o presidente? Rebus irrisolto

Il punto è uno: se Draghi diventa presidente della Repubblica, al governo dovrebbe andare un’altra figura super partes per non indispettire nessun partito e mettere d’accordo tutti.

Dunque, un altro tecnico. Ma può l’Italia avere contemporaneamente un tecnico come presidente e uno come premier? A quel punto, la politica ne uscirebbe definitivamente e totalmente commissariata. Il problema è che Draghi al governo ci resterebbe solamente per un altro anno, dato che nella primavera del 2023 si terranno nuove elezioni politiche. Per questo, punta al Quirinale. Pur da una posizione di minore rilievo politico e certamente non operativa come a Palazzo Chigi, riuscirebbe ugualmente a garantire a cancellerie e mercati che l’Italia terrà la barra dritta nei prossimi sette anni.

Ma i tecnici non imparano mai dai loro errori nel passato, così come del resto i politici. Si rivelano troppo supponenti e credono che il Parlamento sia un “bivacco di manipoli” utili solamente ad applaudire sonoramente i loro discorsi asciutti da ragionieri in pensione. Draghi ha modellato il suo governo senza interpellare i partiti, i quali gli stanno rendendo il ben servito. Va da sé che Giuseppe Conte non lo voglia promuovere presidente, essendo ancora risentito per essere stato rimpiazzato un anno fa a Palazzo Chigi. Il segretario della Lega, Matteo Salvini, punta a incassare da questa elezione il migliore risultato possibile per la sua leadership nel centro-destra portando al Quirinale un uomo o una donna di area. E lo stesso Silvio Berlusconi avrebbe chiuso a Draghi per il mancato rapporto instaurato da quando guida il governo. Senza parlare dei tre ministri di Forza Italia, estranei all’“inner circle” del Cav.

Infine, neppure nel PD si registrano grosse prese di posizione a favore del premier al Quirinale. Molti sperano nel Mattarella-bis, altri in Pierferdinando Casini, altri ancora semplicemente ritengono che Draghi non possa rappresentare la sinistra per eleggere la più alta carica dello stato.

Sta di fatto che nel giro di due giorni, “Super Mario” ha perso i suoi poteri. E’ passato nell’immaginario politico e nazionale dall’essere percepito come un potentissimo superiore ai giochi di palazzo a un uomo comune in cerca di consenso tra i partiti per non finire bruciato. E forse è un bene che scenda dal piedistallo su cui lo hanno messo giornaloni e cittadini in cerca di un ennesimo salvatore della Patria in pochi anni. Nella sua dimensione umana, forse Draghi potrà sbottonarsi e diventare più produttivo. Perché in quasi un anno di governo, a voler essere franchi, di riforme non ne abbiamo viste. E premier lo era diventato proprio per fare quelle.

[email protected]