Se Beppe Grillo va in giro a dichiarare che il pil non abbia alcuna importanza, che il Parlamento possa essere rottamato da un sorteggio tra i cittadini, che serve un reddito universale sufficiente per tutti e che il Recovery Fund non debba puntare a potenziare la crescita, il suo Movimento 5 Stelle alla Camera aggrava il sospetto che parte della maggioranza stia giocando a tornare alle origini per recuperare il consenso perduto. In Commissione Finanze, a inizio settimana i deputati Raffaele Trano (espulso dall’M5S a marzo), Alvise Maniero e Raphael Raduzzi hanno presentato una proposta per l’introduzione in Italia dei Certificati di credito fiscali (Ccf), anche noti come moneta fiscale per le ragioni che vedremo.

L’unico merito dei minibot? Averci fatto capire che la fine dell’euro è possibile

Nelle intenzioni dei tre grillini, lo stato emetterebbe a favore di specifiche categorie di persone e di imprese obbligazioni che aumentino nell’immediato la liquidità in circolazione. Questi titoli prenderebbero il posto degli euro veri e propri per consentire ai destinatari di beneficiare in anticipo di rimborsi fiscali, purché a distanza di almeno due anni dall’emissione. I titolari potrebbero anche utilizzarli per pagarvi le imposte su un lavoratore assunto.

Si tratterebbe a tutti gli effetti di una moneta parallela e “non alternativa” all’euro, giurano i proponenti.

Nei fatti, presuppone l’accettazione dello stato quale forma di pagamento per imposte attuali o come anticipo di pagamento per crediti fiscali futuri. Dovrebbero altresì essere scambiati tra i privati, anche se l’accettazione dei privati non sarebbe obbligatoria, venendo meno uno dei requisiti indispensabili che caratterizza la moneta a corso forzoso.

I rischi della moneta fiscale

Secondo i tre deputati, nessun contrasto con le norme che regolano l’euro. Alla BCE non la pensano così. Già negli anni passati, l’allora governatore Mario Draghi ebbe a rispondere sul tema, ribadendo che nell’unione monetaria si possa emettere solo l’euro.

E in Grecia, fu nel 2015 l’allora ministro delle Finanze, Yanis Varoufakis, a proporre i cosiddetti “IOU”, sentendosi spernacchiare dalle controparti a Bruxelles.

Qual è la logica sottostante alla moneta fiscale? Lo stato eviterebbe di emettere formalmente debito, puntando su uno strumento che gli consente ugualmente di accrescere la liquidità interna, a beneficio dei consumi, degli investimenti e della crescita economica. Tutto bello, se non fosse che questi Ccf priverebbero lo stato di gettito fiscale nel momento in cui verrebbero utilizzati per pagare le imposte. E il “buco” dei conti pubblici inevitabilmente si tradurrebbe in un aumento del debito pubblico, pur ritardato nel tempo. I fautori ribattono che l’impatto positivo che questi strumenti avrebbero sul pil finirebbe per evitare la crisi dei conti pubblici. L’argomentazione appare di per sé infondata, essendo dimostrato in economia che nessun debito si auto-ripaghi del tutto. Diverso nel caso in cui l’unica modalità di utilizzo dei Ccf fosse di anticipare il rimborso dei crediti fiscali, perché si tratterebbe di estinguere in anticipo un debito (dello stato) senza gravare sul bilancio.

Aspetto ancora più preoccupante, questa misura segnalerebbe ai mercati finanziari e alle stesse imprese e famiglie l’intenzione del governo di avvalersi di una moneta parallela all’euro, un fatto che verrebbe percepito quale possibile primo passo per uscire dall’Eurozona. La reazione sarebbe allarmata: gli investitori venderebbero i BTp e pretenderebbero rendimenti molto più alti per acquistarli, scontando il rischio Italexit; le famiglie ritirerebbero i conti in banca, magari spostandoli all’estero. Le imprese smetterebbero di investire e assumere, non avendo più certezze sul futuro. Come da classica profezia che si auto-avvera, la moneta fiscale rischierebbe di condurre proprio all’uscita dall’euro.

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La crisi dei 5 Stelle

Strana la tempistica di questa proposta. Se il problema della liquidità si poneva fino all’inizio dell’anno, quando effettivamente l’Italia era tenuta a badare ai conti pubblici, non si può dire che con la pandemia non abbia ottenuto la totale flessibilità da Bruxelles sul deficit. Il governo Conte ha innalzato il disavanzo di 100 miliardi per quest’anno, in grossa parte per finanziare provvedimenti di spesa opinabili, come il bonus monopattini o il bonus vacanze. Perché non ha approfittato dell’allentamento fiscale per saldare tutti i debiti contratti dalla Pubblica Amministrazione con le imprese e ammontanti ancora a decine di miliardi? Sarebbe stato un tonificante per la liquidità, la stessa che si propone di sostenere una misura come quella sui Ccf.

E allora, dietro alla proposta vi sarebbe altro. Quasi certamente, la moneta fiscale non travalicherà mai l’aula della Commissione Finanze della Camera. Rimarrà confinata ai polverosi verbali di Montecitorio, non vedendo mai la luce, anzi nemmeno una discussione nell’aula plenaria. L’unica ragione che avrebbe indotto i tre grillini a puntare sulla moneta fiscale sarebbe la reazione ai tragici risultati ottenuti dall’M5S alle elezioni regionali di qualche settimana fa. Serve dimostrare all’elettorato di essere rimasti “anti-sistema” e al PD di non voler accondiscendere troppo ai suoi desiderata. Per fortuna, nessuno dà più credito alle chiacchiere dentro ai palazzi della politica, specie se arrivano da un movimento del tutto sconnesso dalla realtà e alla disperata ricerca di visibilità e consensi. E meno male!

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