Immaginate di vivere in un paese, in cui i tassi di cambio siano tre. Vi stupireste se vi dicessimo che il mercato nero prolifererebbe? E’ accaduto negli anni recenti nel Venezuela di Nicolas Maduro e sta accadendo in questi mesi in Libano. Qui, le importazioni di carburante, farina e medicine avviene per legge a un cambio fisso di 1.507 lire per dollaro. Gli altri prodotti primari possono essere importati a un cambio di 3.900. E, infine, c’è per l’appunto il mercato nero, in cui un dollaro si acquista per oltre 12.800 lire.

In Libano, gli scaffali dei supermercati si stanno progressivamente svuotando, esattamente come in Venezuela e per l’identica ragione: lo stato non ha sufficienti dollari per consentire alle imprese di importare beni e servizi con cui soddisfare la domanda. Anzi, quei pochi che sono rimasti in cassa finiscono perlopiù per alimentare il contrabbando.

In questi giorni, il governo uscente di Hassan Diab ha aggiornato la lista dei beni sussidiati. Anziché concentrarsi su quelli più elementari o eliminare del tutto la lista per aiutare le famiglie con più appropriate erogazioni cash, questa è stata allungata di 300 beni. Dopo le perplessità suscitate, i nuovi ingressi sono stati ridotti a 150. Tra questi, funghi in scatola, zafferano e cacao in polvere. Potranno essere comprati a tassi di cambio favorevoli, così da tenere bassi i prezzi al consumo. Peccato che non sia così e, soprattutto, che questi sussidi costino la bellezza di 6 miliardi di dollari all’anno allo stato, quando la banca centrale in cassa dispone di appena 15 miliardi, la metà rispetto a fine 2019.

E’ boom del mercato nero

Di questo passo, il budget dedicato ai sussidi sarà esaurito a fine mese. Di questo, la metà se ne va per tenere a prezzi ridicoli la benzina. Pensate che in questi giorni, un litro di carburante si può acquistare a 1.985 lire, pari a quasi 1,10 euro al cambio ufficiale.

Tuttavia, poiché i dollari si acquistano ormai solamente al mercato nero, qui il prezzo corrisponderebbe ad appena 12 centesimi di euro. Ma c’è un problema: il carburante non si trova. Metà delle stazioni di servizio in Libano sono chiuse e l’altra metà registra lunghe file di automobilisti. La ragione è semplice: conviene acquistare il carburante ai prezzi sussidiati per esportarlo di nascosto nella vicina Siria a 10 volte tanto.

Chi ci ha seguiti negli anni su Investireoggi sa che è esattamente quello che accade al confine tra Venezuela e Colombia. Persino la carne di pecora non si trova per lo stesso motivo. Si può importare a 100 dollari per capo grazie al cambio imposto dal governo per essere rivenduta al doppio sempre in Siria. Piano piano, la carenza sta riguardando un po’ tutti i beni. Gli scaffali si svuotano e i prezzi esplodono ugualmente, in barba alle disposizioni del governo. E’ la vecchia e sempre valida legge della domanda e dell’offerta. Nel frattempo, l’inflazione è salita ufficialmente nei pressi del 160%, ma per i generi alimentari segna +400%. Tutto questo, mentre la politica pensa di risolvere le difficoltà finanziarie delle famiglie cercando di far trovare loro gli ingredienti per le torte a basso prezzo.

Una maxi-svalutazione del cambio non sembra più rinviabile. Per i circa 6 milioni di libanesi significherà accusare una ulteriore impennata dei prezzi, che se mal gestita porterebbe l’economia dritta all’iperinflazione. E il punto è che non esiste un governo nel pieno dei poteri che possa anche solo immaginare di gestire la situazione. Il conflitto israelo-palestinese in corso, se vogliamo, accentua le tensioni politiche interne, rendendo agli occhi della Comunità internazionale e di parte dello stesso Libano ancora meno accettabile la presenza di Hezbollah nell’esecutivo.

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