La scorsa settimana, la BCE ha alzato i tassi d’interesse di un altro 0,75% dopo il +0,50% di luglio. La stretta monetaria di Francoforte procede a passi più rapidi del previsto. Non si esclude che il board, pur diviso sul punto, possa replicare il maxi-rialzo alla riunione di ottobre. L’obiettivo resta di fermare la corsa dell’inflazione, schizzata al 9,1% nell’Eurozona ad agosto. Per quest’anno, le nuove proiezioni dell’istituto puntano su un aumento dei prezzi al consumo nell’area dell’8,1%.

Fino al 2024 non è atteso un rientro intorno al target del 2%. E commentando a caldo le decisioni dell’Eurotower, la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, si è detta “perplessa” della mossa. Ha spiegato che il boom dell’inflazione in Europa sarebbe legato essenzialmente alla crisi energetica, cioè un fattore esogeno, mentre negli USA è parzialmente trainata dalla domanda, visto che l’economia americana sfoggia un invidiabile stato di salute, malgrado la recessione tecnica.

Meloni preoccupata per rialzo tassi BCE

Meloni si è detta preoccupata che Christine Lagarde possa ottenere risultati diversi da quelli prefissati. In soldoni, che possa portare l’economia dell’Eurozona in recessione. Poiché per i sondaggi è colei con le più alte probabilità di succedere a Mario Draghi alla guida del governo, inizia a interrogarsi sulle conseguenze per l’economia italiana di una stretta severa sui tassi BCE.

Commentando la decisione di Francoforte, ha infranto la regola non scritta secondo la quale la politica non dovrebbe esprimersi sugli orientamenti assunti dai responsabili della gestione monetaria. Non è un peccato grave, perché per il momento Meloni resta una candidata in corsa per guidare il governo di uno stato dell’euro. Una volta eventualmente entrata a Palazzo Chigi, sarebbe opportuno non dichiarasse più nulla sui tassi BCE. La politica monetaria è e deve restare indipendente dalla sfera politica per mostrarsi credibile ed efficace.

C’è una ragione anche di sostanza per cui Meloni non dovrebbe spaventarsi troppo dell’attuale corso di Francoforte. Se vince le elezioni, il suo governo nascerà non prima di fine ottobre. Per allora, i tassi BCE saranno stati alzati certamente una terza volta. Resta da vedere se di 50 o 75 punti base. Al futuro premier conviene che la lotta all’inflazione sia quanto più dura ed efficace possibile da qui alle prossime settimane, perché solo così si hanno credibili chance di contenerla in pochi mesi. E solo con un’inflazione calante l’economia italiana può evitare la recessione dura-tura.

Meglio recessione breve subito

Gli italiani addebiteranno al prossimo governo ciò che di negativo accadrà loro dall’inverno in avanti. Lo scenario peggiore per Meloni sarebbe quello di una BCE impantanata nel dibattito tra rialzo dei tassi BCE e rischio recessione. Finiremmo per avere l’uno e l’altro. Invece, se prevarrà la linea dei “falchi”, i tassi saliranno probabilmente di un altro 0,75% a ottobre e di 0,50% a dicembre. Per fine anno, avremmo un costo del denaro al 2,50%. Dovrebbe rivelarsi sufficiente per far decelerare la corsa dei prezzi, sempre che la crisi energetica non giochi ulteriori brutti scherzi.

Meglio anche una breve e immediata recessione economica nell’ultima parte di quest’anno, anziché trascinarsi dietro un PIL sempre più stagnante per tendere alla recessione nel corso del 2023. Tra caro bollette e perdita del posto di lavoro, gli italiani se la prenderebbero anche con il nuovo inquilino di Palazzo Chigi. Meloni dovrebbe stare con i “falchi”, perché stavolta, pur senza volerlo, le farebbero un favore. Se avessero ragione, già nel medio termine risulterebbe possibile ipotizzare un taglio dei tassi BCE.

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