È stato il debutto di Elly Schlein come segretario del Partito Democratico. E il tema scelto per l’occasione è emblematico della svolta a sinistra impressa dalla giovane leader al Nazareno: il salario minimo. L’occasione è stato il “question time” alla Camera, al quale per la prima volta ha risposto in qualità di presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Le due donne hanno monopolizzato mercoledì pomeriggio le attenzioni di giornalisti, deputati presenti e osservatori. Mai la politica italiana era stata più “rosa” di così.

Segno dei tempi. Gli uomini uno, due, tre passi indietro.

Schlein ha chiesto lumi alla premier sulla sua posizione sul salario minimo. Conosceva perfettamente quale sarebbe stata la risposta, ma la 37-enne ha voluto così rimarcare le differenze con la maggioranza di centro-destra. Meloni ha risposto con un pizzico di ironia. Ha concordato sul fatto che i salari dei lavoratori siano scesi negli ultimi decenni e che la percentuale di salari sul PIL sia scesa negli anni passati, salvo fare presente alla sua interlocutrice che ciò sia avvenuto proprio negli anni del PD al governo.

Meloni contraria a salario minimo di Schlein-Conte

Meloni ha sostenuto di non essere ideologica sul tema, ma ha chiarito di voler puntare sulla contrattazione collettiva e sul taglio delle tasse per aumentare gli stipendi dei lavoratori. Schlein ha controreplicato di non essere soddisfatta della risposta. Ha giudicato “insensibili” e “incapaci” gli attuali componenti del governo. Un gioco delle parti, recitato bene dall’una e dall’altra parte. Ma dobbiamo ammettere che è stata una pagina positiva di democrazia “normale”. Quasi sembrava di essere a Westminster, dove il pane si chiama pane e il vino vino. Niente arzigogoli verbali incomprensibili alle persone comuni, niente politichese. Come forse solo un botta e risposta tra donne poteva essere.

Venendo alla sostanza, il salario minimo è stato un grosso smacco di Schlein al Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte.

Questi sperava di farne uno dei cavalli di battaglia per presentarsi all’elettorato come un riferimento del mondo progressista. I due leader sono costretti a fingere unità d’intenti, ma ciascuno vorrebbe in cuor suo che l’altro mollasse. Ad ogni modo, in Italia il salario minimo legale non esiste, a differenza della stragrande maggioranza degli stati comunitari. E l’Unione Europea sta indirizzando i governi ad adottarlo. Per esso s’intende una retribuzione oraria non inferiore a un livello minimo.

Nella scorsa legislatura, i 5 Stelle avevano proposto un salario minimo di 9 euro l’ora. Insieme al PD, avrebbero avuto i numeri per introdurre un simile meccanismo. Evidentemente, l’allora maggioranza giallo-rossa era tutt’altro che convinta della sua bontà. In Italia manca il salario minimo, ma i lavoratori dipendenti sono quasi totalmente coperti dai Contratti Collettivi Nazionali del Lavoro (CCNL). Si tratta di almeno l’86-87%. Gli “scoperti” sono i tirocinanti, i collaboratori occasionali e, ovviamente, i lavoratori in nero.

Stipendi lavoratori non crescono per decreto

Introdurre un salario minimo uguale per tutti i lavoratori rischia di creare più danni dei benefici arrecati al mercato. Non sarebbe sostenibile una stessa retribuzione indipendentemente dai comparti produttivi e dai territori. Paradossalmente, la misura finirebbe per far chiudere molte imprese al Sud e attive in comparti più deboli. Le distanze tra Nord e Sud aumenterebbero, perché i capitali si sposterebbero nel Settentrione. Pensate a un imprenditore costretto a retribuire un dipendente non meno di 9 euro l’ora, cioè 72 euro (netti?) per una giornata di otto ore. Una tale paga a Sondrio avrebbe un potere di acquisto molto differente che a Crotone.

Di fatto, sarebbe come imporre una retribuzione reale più bassa al Nord e più alta al Sud. Le imprese non troverebbero conveniente produrre sotto Roma.

Si acuirebbe un male già annoso e di cui stiamo discutendo in questi anni a proposito di stipendi incongrui in città care come Milano o di disparità di trattamento dei più bisognosi con il reddito di cittadinanza.

L’illusione di Schlein e Conte di aumentare gli stipendi grazie al salario minimo non ha alcuna base reale. Ovunque è stato introdotto, esso è stato fissato a livelli significativamente inferiori alle retribuzioni orarie medie. Un modo per non disincentivare le assunzioni e per impedire semmai che le imprese possano offrire paghe miserrime. Ma questo in Italia è già possibile con i contratti nazionali con validità “erga omnes”. Va rilanciato uno strumento che esiste e che da anni subisce i contraccolpi della scarsa vivacità economica, con sindacati e imprese incapaci di rinnovare gli accordi in tempi veloci. D’altronde, se fosse solo un problema di decreto, fisseremmo per legge un salario minimo così alto da far vivere tutti i lavoratori nella bambagia. Ma le soluzioni facili sono tendenzialmente le più bugiarde.

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