Se l’auto che avete ordinato non vi sta arrivando in tempo o se al negozio non trovate la consolle preferita per videogiochi, non prendetevela con il rivenditore. Tutto il mondo ha il vostro stesso problema. E la pandemia c’entra fino a un certo punto. La verità è che mancano i chip e le imprese non sanno più come produrre. Un chip costa anche solamente un dollaro, ma se manca non è possibile costruire un’auto o un qualsiasi dispositivo elettronico.

E’ quanto sta accadendo in questi mesi e adesso la crisi sta raggiungendo livelli di allarme. Pensate che diverse case automobilistiche americane hanno annunciato tagli alla produzione, malgrado l’aumento degli ordini, proprio a causa dell’impossibilità di reperire la materia prima a sufficienza. Il costo di questa mancata offerta viene stimato in 60 miliardi di dollari, sempre che le condizioni non peggiorino.

Lunedì 12 aprile, Pat Gelsinger, CEO di Intel, società di produzione di chip, avrà un colloquio in videoconferenza con il presidente Joe Biden su questo tema. La società ha annunciato investimenti per 20 miliardi per costruire due nuovi stabilimenti in Arizona. La Casa Bianca sta monitorando con attenzione questo mercato ed è pronta ad accentuare qualsivoglia sforzo per centrare l’obiettivo dell’indipendenza tecnologica dal resto del mondo. L’Unione Europea cerca di attrezzarsi, ma inutile dire che sia rimasta indietro nella risoluzione del problema. E per quanto le imprese stiano varando piani per aumentare la capacità produttiva, ci vorranno mesi, se non anni, prima di portarli a compimento.

Cosa sta provocando la carenza di chip nel mondo? La produzione globale iniziò a rallentare nei primissimi mesi dello scorso anno per via della pandemia. Molti fornitori con sede a Wuhan dovettero temporaneamente chiudere gli stabilimenti a causa dei “lockdown”, mentre nelle settimane seguenti furono le stesse imprese occidentali a fermare gli ordini, registrando una caduta verticale della domanda.

Pensate al settore automobilistico, che anche a causa delle restrizioni fu colpito da un quasi azzeramento delle vendite nel corso della primavera 2020.

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Una crisi che riguarda anche le terre rare

Senonché, la domanda di chip tornava a salire verso la fine dello scorso anno. Tuttavia, l’offerta non teneva il passo e ciò ha iniziato a tradursi in una carenza di chip sempre più evidente. Ma alla base non vi sono solo fattori contingenti. Da anni, l’avanzamento tecnologico sostiene sempre più la domanda, tra cui quella di chip impiegati nell’automotive. E c’è stato un errore di valutazione commesso da molte società durante lo scorso anno. Man mano che i governi imponevano il “lockdown”, esse applicavano alla crisi sanitaria ed economico i modelli finanziari degli ultimi decenni. Da qui, la decisione di fermare gli ordini. In realtà, accadeva che i consumatori di tutto il mondo, costretti a stare in casa, sfogavano i loro consumi acquistando smartphone, tablet, notebook, consolle per videogiochi, vuoi per trascorrere più alacremente il tempo libero, vuoi per la necessità di lavorare in smart working o di studiare tramite la didattica a distanza. Dunque, la domanda di chip è letteralmente esplosa, a fronte di un crollo della produzione.

E di recente ci si sono messi pure un incendio a una fabbrica giapponese e una tempesta di neve nel Texas a colpire ulteriormente la produzione di chip. Infine, la ‘guerra’ dei dazi tra USA e Cina ha spinto alcuni colossi come Huawei a fare scorte di chip per evitare lo scenario peggiore e chissà se non anche per danneggiare i concorrenti. Al contrario, la generalità delle imprese è solita tenere in magazzino pochi chip, essenzialmente per due motivi: non sborsare troppo in anticipo per una voce di spesa rinviabile; la veloce obsolescenza di questi materiali, perché da un anno all’altro le caratteristiche tecniche si evolvono e rendono i chip precedenti vetusti.

Inoltre, le linee di produzione non stanno venendo aumentate, perché ciò non avrebbe senso economico. Costerebbe troppo e quando le condizioni del mercato si saranno normalizzate, risulterebbero in eccedenza.

Il caso evidenzia la necessità di puntare all’indipendenza tecnologica in un contesto di frizioni commerciali crescenti. Si consideri che il problema delle terre rare si trascina da anni. Si tratta di 17 elementi della tavola periodica, impiegati nell’elettronica di consumo. A produrne in condizioni di quasi monopolio è la Cina, sebbene potenzialmente la Corea del Nord ne sarebbe straricca, ma ha un mercato chiuso al mondo. Pechino vanta, pertanto, un potere di ricatto verso il resto del mondo, in quanto le basterebbe fermare del tutto le esportazioni per mettere in ginocchio la produzione mondiale. Se non lo fa è perché questa sarebbe l’arma nucleare da utilizzare a mali estremi e anche per i duri contraccolpi che la stessa economia cinese accuserebbe in un simile scenario.

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