Con il 61,1%, i “no” all’accordo tra la UE e l’Ucraina hanno prevalso nettamente al referendum consultivo indetto ieri in Olanda. La partecipazione al voto è stata del 32,2%, poco superiore al quorum del 30%, necessario per rendere valido l’esito. E’ stato un trionfo dell’euro-scetticismo, perché aldilà del fatto che si votasse su un punto specifico, ovvero sull’allacciamento dei rapporti con Kiev, il mondo politico olandese aveva inteso l’appuntamento come un confronto tra i sostenitori e i contrari alla UE.

E quest’ultima ne è uscita con le ossa rotta. Il commento del leader della destra euro-scettica, Geert Wilders, è stato chiaro: “gli olandesi hanno detto no all’élite europea e questo segna l’inizio della fine della UE”. Per portata, non è paragonabile alla bocciatura della Costituzione europea, che gli elettori di Olanda e Francia impressero nel 2005, di fatto creando più di un problema alla costruzione dell’architettura europea, ma il significato del voto di ieri non può nemmeno essere derubricato ad evento secondario.

Rischio disgregazione UE

Lo aveva detto anche il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, che se l’accordo UE-Ucraina fosse stato bocciato dagli olandesi, sarebbe stato un inizio di smantellamento dell’assetto istituzionale europeo. In realtà, da un punto di vista pratico, cambia poco o nulla dopo ieri. L’Olanda potrà anche dare il suo assenso all’intesa con Kiev, perché il referendum aveva valore solo consultivo. Il problema è politico. l’Europa, ovunque si voti, non riscuote mai successo. E in una democrazia non può passare in secondo piano. C’è il timore, poi, di un effetto-valanga. Il referendum olandese potrebbe rafforzare i consensi per quanti nel Regno Unito siano favorevoli all’uscita della UE (Brexit). Anche Londra celebra un altro referendum sul punto, che si terrà il 23 giugno prossimo. E allo stato attuale, i contrari alla UE appaiono leggermente in vantaggio, quando erano abbastanza dietro fino a pochi mesi fa.

Proprio l’esito del voto olandese di ieri potrebbe dare impulso agli euro-scettici britannici.      

Da Nord a Sud monta l’euro-scetticismo

E va detto che nemmeno quello voluto dal governo Cameron è un referendum vincolante, ma in democrazia il parere del popolo conta, più che mai peserà come un macigno su un tema così sensibile. Per Bruxelles, i prossimi due mesi e mezzo saranno vissuti con uno stato d’animo molto cupo. Da Nord a Sud, l’architettura europea si sta sgretolando. Ricordiamoci, che due paesi dell’Eurozona sono senza governo (Spagna e Irlanda), dopo che quelli uscenti non hanno ottenuto la riconferma, a causa del boom registrato da formazioni contrarie alle politiche di austerità. Altri sono riottosi contro i commissari (Italia, Grecia, Finlandia, Portogallo), altri ancora segnalano insofferenza verso la UE (Polonia e Ungheria, ma non solo). Il referendum del 23 giugno non sarà solo un tagliando del tasso di europeismo dei Sudditi di Sua Maestà, ma un test sul futuro delle istituzioni europee da un lato e della moneta unica dall’altro. L’euro non si regge senza istituzioni centrali adeguate, ma queste sono impossibili senza un consenso popolare minimo. E il trend appare meno che mai sfavorevole.