Spread btp bund ancora al centro del dibattito politico ed economico italiano, oltre che delle chiacchiere al bar. Il differenziale di rendimento tra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi è diventato ormai da un anno e mezzo un tormentone quotidiano, che finisce per influire in un senso o nell’altro sugli umori di imprese, consumatori, famiglie e opinione pubblica, anche quando non ne hanno direttamente a che fare.  

Cosa è lo spread e quale è la sua capacità di catturare i fondamentali macro

Lo spread segnala il tasso di fiducia di uno stato gode in relazione a un altro, quando raccoglie i risparmi privati sui mercati dei capitali per rifinanziare il suo debito.

Per due stati con la stessa moneta non ci dovrebbe essere, in teoria, alcuno spread. Tuttavia, la peculiarità dell’Eurozona è di avere 17 stati che utilizzano l’euro, ma 17 diverse gestioni dei propri debiti nazionali. Pertanto, ciascuno continua a presentarsi sui mercati con la credibilità propria, semmai annullando per gli investitori dell’Area Euro solo il rischio di cambio, non essendoci alcuna possibile oscillazione tra Italia e Germania, condividendo la stessa moneta. Ora, il problema è il seguente: realmente lo spread cattura con efficienza la diversità dei fondamentali macro-economici di due stati? Poiché il titolo “benchmark” è il Bund tedesco, la domanda si trasla nella seguente: se a una certa seduta lo spread BTp-Bund sale, esso è sempre frutto di un reale peggioramento delle prospettive finanziarie italiane, con riguardo a quelle tedesche? E poi: ma lo spread ha effetti così immediati e robusti sulle nostre vite concrete? Rispondiamo alla prima domanda. E’ evidente che un’improvvisa impennata dello spread, com’è avvenuto il lunedì scorso per i BTp, segnali una preoccupazione degli investitori sul futuro politico dell’Italia e sulla sua tenuta ordinata delle finanze pubbliche. Insomma, umori, che potrebbero anche consolidarsi nel tempo in un peggioramento stabile delle prospettive.
Ma stando a quanto registrato nelle prime tre sedute di questa settimana, lo spread si è allargato solo fino a un massimo di 60 punti base, rispetto al minimo di 304 bp dell’ultima seduta pre-crisi politica, ma già è rientrato a 330 punti, anche perché i mercati stanno riprendendo consapevolezza che male che vada, per loro si sarà trattato di anticipare la caduta del governo Monti di poche settimane. Già all’asta di oggi per i BoT a 3 mesi e a un anno si è registrato un calo notevole dei rendimenti per entrambe le scadenze, rispetto ai già bassi tassi di novembre. In particolare, il BoT dicembre 2013 è sceso al rendimento dell’1,456% dall’1,762% di un mese fa. Si prevedeva un rendimento in zona 1,68%. Questo significa che gli operatori non seguono alla lettera l’andamento dello spread seduta per seduta, ritenendo la solidità del nostro debito stabile rispetto a quanto previsto fino a qualche giorno fa. Monti o non Monti (Asta Bot a un anno: calano i rendimenti, nessuno shock per dimissioni Monti).  

Lo scudo anti spread e l’incidenza sull’andamento del differenziale

Altra considerazione: lo spread dipende certamente da considerazioni politiche e dall’operato del governo, ma è stata la stessa Banca d’Italia all’inizio dell’anno a pubblicare uno studio, per cui sulla base dei nostri fondamentali, lo spread decennale dovrebbe attestarsi a non oltre 200 bp, dovendosi addebitare il divario eccedente alle debolezze strutturali dell’Eurozona e al timore di una sua rottura. E chi millantava che Monti valesse 200 punti di spread, ha dovuto ricredersi, quando ancora a luglio esso si attestava a 530 bp, ossia a livelli nettamente più alti registrati in media sotto il precedente esecutivo a guida Berlusconi. Solo l’intervento della BCE ha fatto abbassare i rendimenti e stringere gli spread di circa 200 punti in tre mesi circa.

E stando a quanto accaduto in questi giorni, l’operato di Monti è stato ritenuto meritevole di non oltre 60 punti, mentre i rendimenti decennali dei nostri BTp non si sono mai impennati oltre 40 punti base. Di certo lo spread, però, non può essere definito un “imbroglio di Berlino“, come ha sentenziato l’ex premier, anche se una sua manipolazione di breve periodo è sempre possibile (Apertura Borsa Milano in rosso. Per Berlusconi lo spread è un “imbroglio”)  

Spread cosa comporta sulla vita delle famiglie e su quella dello Stato

L’aumento del differenziale, poi, impatta non solo sulle finanze pubbliche, ma anche su quelle di famiglie e imprese. Sulle prime, perché l’aumento dei rendimenti per il rischio-Paese ha effetti rialzisti pure sui tassi dei mutui e prestiti loro erogati. E anche le imprese subiscono le conseguenze negative di un rialzo dei tassi dei BTp, in quanto sono costrette ad offrire un premio più alto sui mercati dei capitali (o alle banche) per finanziarsi. E il divario dei rendimenti tra imprese italiane e straniere (ad esempio, tedesche) penalizza le prime, in quanto le grava di un costo maggiore, rendendole meno competitive. Nei mesi scorsi, ad esempio, le aziende italiane hanno dovuto corrispondere il 5,5% medio di interessi sui loro prestiti, mentre quelle tedesche intorno al 3,5%. Ciò ha avuto anche l’effetto di spiazzare gli investimenti in Italia, con beneficio della Germania. Ovvio l’impatto sulle casse dello stato. Considerando che il nostro mercato dei bond è di 1.600 miliardi di euro, l’aumento di 100 punti base (1%) dello spread di lungo periodo comporta un maggiore esborso per interessi per 16 miliardi. Ma attenzione: il debito non scade in un solo anno. Basti pensare che in un anno orribile come il 2012, tra debito in scadenza e nuovo debito (deficit) si sono emessi “solo” 470 miliardi, mentre nel 2013 le emissioni dovrebbero attestarsi a non oltre 410 miliardi, grazie a un minore debito in scadenza (40 miliardi) e a minore deficit (20 miliardi).

Questo significa che se quest’anno i rendimenti lungo tutto la curva dei rendimenti si attestassero, per ipotesi, 100 punti base sopra lo scorso anno, allora nel 2012 ci saremmo rifinanziati a un costo maggiore per lo stato di circa 4-5 miliardi. E attenzione ancora: non sono 4-5 miliardi che avremmo già sborsato, perché questo è il conto finale da qui alla scadenza del debito contratto, tra cedole più pesanti e prezzi di acquisto più bassi (cosiddetti “scarti di emissione”). I BoT, ossia i titoli con scadenza fino a un anno, pesano per non oltre il 10% del debito complessivo (160-170 miliardi all’anno), per cui se tutti fossero stati emessi a un tasso medio superiore dell’1% sul 2011, il maggiore costo che dovremmo sostenere nel 2013 non supererebbe gli 1,6-1,7 miliardi, ossia lo 0,1% del pil. Un’ultima annotazione. Lo spread è un indice differenziale, per cui un suo aumento non implica in sé una crescita dei rendimenti sui nostri BTp, in quanto potrebbe crescere in tutto o in parte per la riduzione dei rendimenti tedeschi, nostro riferimento. Anche questo è accaduto tra il 2011 e il 2012. A fronte di uno spread che è cresciuto di un massimo di 400 punti base (da 150 fino a 550 punti base), la crescita massima dei nostri rendimenti è stata inferiore, di non oltre 300 punti base (dal 4,7% al 7,7%). Ovvio, infine, che una variazione dello spread sul mercato secondario non si ripercuote immediatamente sul primario, ossia alle aste. Solo quando tale maggiore o minore differenziale si consolida nel tempo, allora lascia spazio a variazioni di pari peso sulle emissioni del Tesoro. Per questo, prima di disperarsi per una qualche seduta negativa, bisogna fermarsi a ragionare.