Al simposio di Sintra, Portogallo, quest’anno dedicato alla sfida della politica monetaria in un ambiente di rialzo dei tassi, inizia ad emergere qualche dettaglio tecnico in merito allo scudo anti-spread allo studio della BCE. A metà del mese, un board d’emergenza esitò la promessa di un nuovo strumento a sostegno dei titoli di stato nell’Eurozona oggetto di speculazione. Per il momento l’unica linea di difesa è rappresentata dai riacquisti dei bond con il PEPP, il piano anti-pandemia varato nel marzo 2020 e che è stato utilizzato fino al 31 marzo scorso per 1.665 miliardi di euro.

A differenza del “quantitative easing”, tale piano previde fin dall’inizio una certa flessibilità in fase di acquisto. La BCE poté inserire in portafoglio bond anche deviando dal “capital key”, la regola per cui a ogni mercato nazionale è dedicata una quota pari all’incidenza del PIL del relativo paese.

Scudo anti-spread e aste BCE

Con lo scudo anti-spread allo studio e i cui dettagli emergerebbero al board di luglio, la BCE si ritroverà nella difficile condizione di alzare i tassi d’interesse, ridurre la liquidità in circolazione sui mercati per combattere l’inflazione e al contempo iniettarne di nuova eventualmente per calmierare i rendimenti dei bond oggetto di vendite speculative. Per ovviare a questo paradosso, da Sintra è trapelata l’intenzione di accompagnare allo scudo anti-spread con aste alle quali le banche dell’Eurozona potranno parcheggiare liquidità alla BCE a tassi più alti di quelli ordinari.

Tale meccanismo fu varato un decennio or sono, quando Francoforte cercò di reagire all’allargamento degli spread con il “Securities Markets Programme”. Da un lato l’istituto inietterebbe, obtorto collo, liquidità per abbassare i rendimenti di BTp, Bonos, ecc., dall’altro drenerebbe liquidità dal mercato grazie ad apposite aste di “sterilizzazione”. Nulla di anomalo per una banca centrale. Sta di fatto che lo scudo anti-spread finirebbe forse per premiare le banche del Nord Europa.

Banche Nord Europa avvantaggiate

Dopo oltre un decennio di politica monetaria ultra-espansiva, nell’Eurozona esisteva alla fine di aprile 3.770 miliardi di euro di liquidità in eccesso. Prima della pandemia si era calcolato che per l’80% tali eccedenze provenissero dalle sole banche del Nord Europa, più robuste finanziariamente. Verosimile, quindi, che sarebbero questi istituti ad offrire alla BCE liquidità nel caso di aste volte alla sterilizzazione degli acquisti dei bond realizzati con lo scudo anti-spread. Anziché prestare denaro ai tassi fissati sui depositi, oggi a -0,50% e probabilmente già azzerati entro settembre, lo farebbero a tassi più alti. Un beneficio rispetto alle banche a corto di liquidità, le quali difficilmente vorranno privarsene per approfittare della maggiore remunerazione offerta da Francoforte.

Peraltro, le banche del Sud Europa affrontano già oggi una più agguerrita concorrenza dai bond sovrani. Mentre i Bund continuano a rendere pochissimo per le brevi scadenze, i BTp già offrono quasi l’1,50% sui 2 anni. Di questo passo, se non vorranno assistere al deflusso dei depositi della clientela, dovranno alzare i tassi passivi. La pressione sembra destinata a materializzarsi nei prossimi mesi con il rialzo dei tassi, specie se nel frattempo la congiuntura economica dovesse deteriorare gli attivi.

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