Numeri raggelanti arrivano dal Rapporto Istat sulla Competitività dei Settori Produttivi, secondo il quale l’Italia avrebbe registrato la più bassa crescita della produttività del lavoro tra il 2000 e il 2016, rispetto alle altre principali economie della UE: +0,4%, quando in Francia, Regno Unito e Spagna si è avuto oltre +15% e in Germania il +18,3%. In pratica, la produttività del lavoro nel nostro Paese è rimasta ferma, mentre altrove è cresciuta, seppure non a ritmi esaltanti. Questo è un grosso problema. Per capirlo, spieghiamo per prima cosa il significato del termine “produttività”.

Essa è data dal rapporto tra il valore della produzione e il numero dei lavoratori necessari per realizzarla.

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Se un’azienda produce in un anno 50.000 scrivanie in legno avvalendosi del lavoro di 100 dipendenti, significa che mediamente ciascuno è stato in grado di produrne 500. Questo è stato il suo apporto alla produzione o produttività. Se l’anno seguente, il numero delle scrivanie prodotte sale a 60.000 e quello dei lavoratori resta fermo, l’apporto medio sale a 600, cioè del 20%. Ciò implica anche che il lavoratore sarebbe nelle condizioni di reclamare un aumento dello stipendio, che vada di pari passo alla crescita dei ricavi aziendali. P.S.: stiamo supponendo per semplicità di ragionamento che i prezzi di vendita siano rimasti invariati.

Il legame tra produttività e stipendi

Dall’esempio appena mostrato, capiamo che più cresce la produttività e più aumentano pure le retribuzioni dei lavoratori. Non solo, ma un’impresa assume un nuovo lavoratore, qualora il suo apporto alla produzione risulti almeno pari, se non superiore, alla sua retribuzione. In altre parole, il salario coincide con la produttività marginale. Ne consegue che quando quest’ultima ristagna, ad essere sacrificati siano stipendi e posti di lavoro.

Il fatto che l’Italia sia rimasta sostanzialmente ferma da inizio millennio, mentre gli altri stati siano andati avanti, ci aiuta a capire la ragione fondamentale per cui salari e stipendi non siano da noi cresciuti in termini reali.

Questo significa anche che sia stata colpa dei lavoratori italiani? E davvero possiamo definirli improduttivi?

Per rispondere, dobbiamo precisare che l’Istat ha preso in considerazione le variazioni di un dato periodo, pur lungo, ma nulla ci ha detto nel suo rapporto sulla produttività media del lavoro in Italia. Questa può essere misurata come il rapporto tra pil e numero di occupati. Il prodotto interno lordo capta, infatti, il valore della produzione, ossia beni e servizi prodotti in un dato periodo (anno) e moltiplicati per i rispettivi prezzi. Nel 2018, esso ammontava a 1.754 miliardi di euro, mentre il numero degli occupati risultava salito al nuovo record storico di 23,2 milioni di unità. In media, quindi, ciascun lavoratore italiano (dipendente pubblico, privato e autonomo) è stato in grado di produrre beni e servizi per un controvalore annuo di 75.600 euro.

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Il confronto con l’estero

E all’estero? La Germania ha chiuso il 2018 con un pil di 3.386 miliardi e registra un’occupazione di 45 milioni di unità. Ciascun lavoratore, quindi, ha prodotto per 75.244 euro, qualcosa in meno rispetto all’Italia. Andando avanti nel confronto, scopriamo che la produttività media di un francese sarebbe stata di 83.300 euro e quella di uno spagnolo di 61.700 euro. Dunque, l’Italia figura seconda tra le grandi economie dell’Eurozona per produttività del lavoro, superata solo dalla Francia e davanti alla Germania, staccando di molto la Spagna. Qualcuno scatterà dalla sedia al pensiero che i tedeschi sarebbero meno produttivi di noi, chiedendosi come sia possibile.

Il fatto è che la Germania, il cui pil è quasi doppio del nostro, riesce a produrre molto di più grazie a un’occupazione elevatissima, che ormai supera il 75% delle persone nella fascia di età tra i 15 e i 64 anni, a fronte del nostro striminzito 58%.

In altre parole, molti tedeschi risulterebbero occupati in produzioni a basso valore aggiunto o lavorerebbero non a tempo pieno (avete sentito parlare dei “Minijobs”?). Per contro, in Italia risultano occupate relativamente poche persone, sulle cui spalle ricade il compito di produrre beni e servizi per il mercato domestico, anzitutto, oltre che per le esportazioni. Dalle classifiche internazionali, poi, emerge che mediamente un italiano lavori più ore a settimana di un tedesco, smentendo il pregiudizio per cui la Germania sia una nazione di stakanovisti e l’Italia (e il Sud Europa, in generale) di fannulloni.

Bisogna ammettere, però, che i dati vadano anche integrati da riflessioni più ampie. Il lavoro nero è una piaga nel Meridione e risulta presente anche nel nord dell’Italia. Il suo apporto alla produzione figura nelle statistiche, ma non tra quelle che si riferiscono all’occupazione. Stiamo dicendo, in pratica, che gli occupati reali in Italia sarebbero superiori ai 23,2 milioni di cui parla l’Istat, per cui la produttività media reale sarebbe più bassa. Ciò non toglie che il confronto internazionale sorprenda in positivo: l’Italia è tipicamente concentrata nella produzioni di beni a basso contenuto tecnologico e per questo anche a basso valore aggiunto, mentre la Germania primeggia proprio nei comparti più redditizi, avvalendosi di un sistema produttivo caratterizzato perlopiù da aziende di medio-grandi dimensioni. Eppure, i lavoratori italiani superano i colleghi tedeschi in produttività.

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Il confronto con il 2008

Non solo. Abbiamo raffrontato i dati del 2018 con quelli di 10 anni prima, quando la crisi era appena scoppiata. Nel 2008, la produttività media in Italia risultava di circa 70.350 euro, in Germania di appena 62.480 euro, in Francia di 73.800 e in Spagna di 54.500. Le posizioni in classifica restano invariate, ma le distanze tra noi e la Germania erano allora molto superiori e sempre a nostro favore, ma si sono di molto ridotte nell’ultimo decennio.

Ciò è dovuto al fatto che, a parità di occupati tra 2018 e 2008, l’Italia ha subito un calo del pil reale del 3,5%, mentre il pil nominale (tenuto conto delle variazioni dei prezzi o inflazione) è aumentato del 7,3%. Il pil nominale in Germania, invece, è cresciuto nello stesso periodo del 32%, a fronte di quasi il 10% in più di occupati (+4 mln).

Ora, va detto che nei periodi di crisi, com’è stato il decennio scorso, la produttività tende a diminuire, in quanto raramente il calo della produzione risulta perfettamente compensato da una pari riduzione degli occupati. Ciò è dovuto a molteplici fattori: giuridici (le norme sul lavoro non consentono il licenziamento facile di tutti i dipendenti in eccesso), economici (un’azienda non si libera a cuor leggero dei dipendenti, perché quando tornerà ad averne bisogno avrebbe difficoltà a trovare le competenze richieste) e di adattamento (un autonomo non chiude al minimo cenno di crisi e un dipendente cercherà di fare pur qualcosa per portare a casa il minimo indispensabile), etc.

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Perché la ricchezza in Italia è più bassa?

E l’economia italiana è l’unica tra le grandi nel mondo a non essere riuscita a superare gli effetti della crisi di ormai 11 anni fa, per cui oggi supponiamo che occupi più lavoratori di quanti ne avrebbe strettamente bisogno, pur con impianti che funzionano spesso a basso regime. Non così dicasi della Germania, dove diventa persino difficile trovare nuovi lavoratori da assumere, data la disoccupazione ai minimi da oltre 30 anni e tassi di occupazione record. Infine, contrariamente alla storia degli ultimi decenni, la Germania registra un’inflazione media annua superiore a quella italiana da diversi anni a questa parte, conseguenza delle sue migliori condizioni macro. E l’aumento dei prezzi, per quanto non smuova il pil reale, che è quello che misuriamo di trimestre in trimestre per capire come si evolva la crescita effettiva in una data economia, accresce il valore della produttività. Prezzi più alti, infatti, sono un bene per le imprese che vendono, sebbene colpiscano i consumatori.

Ma se siamo più produttivi dei tedeschi, perché il pil pro-capite in Germania risulta di ben il 41% più alto che in Italia, in forte ascesa dal +15% del 2008? La risposta si trova nei paragrafi precedenti: la bassa occupazione italiana. I lavoratori italiani producono mediamente più dei loro colleghi tedeschi, ma sono molti di meno in rapporto alla popolazione. In Germania, lavora 1 su 1,84 residenti, in Italia 1 su 2,5. Questo significa che la maggiore produzione pro-capite viene più che compensata dal minore numero di occupati. In pratica, da noi faticano in molte meno persone e per quanto riescano a produrre di più che in Germania, non ce la fanno a “coprire” la ricchezza perduta per via degli altri italiani che non lavorano.

Chiudiamo con un’annotazione: la produttività è solo in parte dovuta alla capacità/volontà dei lavoratori, dipendendo perlopiù dal grado di tecnologia impiegata dalle aziende. Una cosa sarebbe lavorare nei campi dotati solo di una zappa, un’altra avere a disposizione un trattore. Per quanto nel primo caso ci si ammazzi di lavoro, i risultati difficilmente potranno essere comparabili a quelli esitati nel secondo caso. E le piccole dimensioni delle imprese italiane spesso contribuiscono a tenere bassa la produttività (stipendi e occupazione), richiedendo maggiori sacrifici (ore lavorate) ai dipendenti, a causa dei capitali carenti disponibili. Pensate a quali livelli arriveremmo, se solo riuscissimo a superare le criticità della nostra economia, se già oggi superiamo in produttività i tedeschi!

Lavoratori italiani ultimi in Europa

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