A giugno, l’indice dei prezzi al consumo in Italia è diminuito dello 0,2% su base annua, stesso ritmo di maggio. L’inflazione acquisita per il 2020 è azzerata per l’indice generale, mentre l’inflazione di fondo è dello 0,7%. Nel complesso, è accaduto che l’emergenza Coronavirus abbia surriscaldato i prezzi dei generi alimentari (+2,4% a giugno), abbattendo quelli del energetici (-11,2%). Pian piano, l’economia sta scivolando verso la deflazione, che sarà conclamata quando l’inflazione acquisita per quest’anno sarà ufficialmente negativa.

Se la crisi dell’economia porterà alla deflazione, ecco cosa dovremmo aspettarci

Siamo portati a pensare che i prezzi tendano a crescere di anno in anno.

In realtà, questo è il trend generale, determinato da spinte rialziste per alcuni beni e servizi e ribassiste per altri. La deflazione è il fenomeno opposto, ovvero quando in media prevale il segno meno per i prezzi e il costo della vita si riduce. In teoria, sarebbe una buona notizia per le famiglie, perché il loro potere di acquisto aumenta.

Ma la deflazione, come nel caso attuale, può rispecchiare un’economia in affanno, caratterizzata da consumi calanti e perdita di posti di lavoro. Sta accadendo drammaticamente proprio questo, con circa 5 milioni di lavoratori italiani, che con il “lockdown” sono andati in cassa integrazione, conservando gran parte dello stipendio, pur non anche la prospettiva certa di tornare in fabbrica o in ufficio. In una siffatta realtà, meglio che i prezzi si adeguino alle mutate condizioni del mercato, altrimenti il disequilibrio tra domanda e offerta ne risulterebbe esacerbato. Per un disoccupato o un lavoratore cassintegrato, preferibile che i prezzi scendano, così almeno potrà sostenere un costo della vita più basso.

L’impatto della deflazione

La deflazione ha anche conseguenze sui conti pubblici. Prezzi calanti riducono il fatturato nominale delle imprese, con la conseguenza che le entrate fiscali diminuiscono. Inoltre, il prodotto interno lordo, che in questa fase segna già variazioni parecchio negative, tende a contrarsi ulteriormente per l’effetto-prezzi.

In definitiva, la deflazione allarga il deficit di bilancio e tende a squilibrare maggiormente il rapporto tra debito e pil. Non a caso, posti dinnanzi all’alternativa di scegliere tra un rialzo e un ribasso dell’inflazione dell’1%, i governi opterebbero perlopiù per il primo scenario, al fine di coglierne gli effetti fiscali positivi.

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E anche tra i privati, la deflazione ha conseguenze d’impatto. I debitori risultano penalizzati, i creditori avvantaggiati. I primi, infatti, sono costretti a restituire una somma di denaro dal valore reale superiore. Nel migliore dei casi, redditi stagnanti non sempre potrebbero mostrarsi in grado di sostenere il peso dei debiti. Peraltro, poiché il calo dei prezzi tende a riguardare perlopiù i beni durevoli, le famiglie tendono a rinviarne i consumi per approfittare di occasioni future migliori, aggravando la crisi. Le aspettative giocano un ruolo fondamentale per evitare che l’incantesimo duri a lungo. Sino a quando il mercato si attenderà prezzi in calo, la profezia si avvererà.

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E qui interviene la banca centrale, che in questi mesi sta iniettando liquidità massiccia sui mercati per cercare di sostenere i prezzi degli assets finanziari, con la speranza che le banche la girino all’economia reale, a beneficio anche dei prezzi di beni e servizi. Non sembra che sinora la mossa abbia funzionato, semmai impedito che i prezzi crollassero, sfociando in aperta deflazione. Del resto, i livelli di crescita erano abbastanza bassi già prima del Covid. La BCE non centra il target d’inflazione (“vicino, ma di poco inferiore al 2%”) da oltre 7 anni.

Strutturalmente, tutte le economie mature (USA, Canada, Europa, Giappone e Australia) si sono avviate da tempo verso una condizione di inflazione quasi a zero (“lowflation”) e di certo non aiuta la demografia, con una quota rilevante delle rispettive popolazioni a trovarsi in età avanzata, quando i consumi sono meno dinamici e i redditi stessi tendono ad essere stagnanti.

Se la deflazione resta una condizione straordinaria nell’economia moderna, la sua percezione non risulterebbe così drammatica come lo sarebbe stata qualche decennio addietro. Si consideri che l’Italia ha trascorso quasi due decenni con il flagello dell’alta inflazione, da inizio anni Settanta alla fine degli anni Ottanta; eppure, un italiano che oggi avesse 40 anni nemmeno si ricorderebbe dell’era dei prezzi in crescita a doppia cifra, essendo cresciuto nella stabilità dei prezzi. E anche per questo la tolleranza verso l’inflazione sta riducendosi un po’ ovunque.

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