La banca centrale ha evitato di tagliare i tassi d’interesse anche ieri, lasciandoli invariati all’8,5% dopo la riunione mensile del board. Ha voluto così contenere il rischio di una degenerazione della crisi valutaria alla vigilia delle elezioni presidenziali e parlamentari fissate per il prossimo 14 maggio. La lira turca è già scesa ai minimi storici contro il dollaro, viaggiando ad un tasso di cambio di 19,43 e perdendo su base annua un altro 24%. A marzo, l’inflazione in Turchia è stata del 50,51%, molto giù dal massimo dell’85,51% di ottobre, ma restando su livelli abnormi.

I tassi reali, quindi, ancora oggi risultano essere del -42%, i più bassi al mondo.

Crisi lira turca rischio elettorale

La politica monetaria non ortodossa imposta dal presidente Recep Tayyip Erdogan alla banca centrale rischia di costargli le elezioni. Dopo oltre venti anni al potere, infatti, per la prima volta i sondaggi assegnano un vantaggio di consensi per il rivale Kemal Kiricdaroglu. Egli si presenta a capo di un cartello di sei partiti, a dire il vero eterogeneo e nato con l’unico obiettivo di disarcionare il “sultano”. Secondo JP Morgan, chiunque dei due vinca, dopo le elezioni di maggio sarà un bagno di sangue per la lira turca. Sarà necessario accettare una sua ulteriore caduta sul mercato forex per risollevare le sorti delle riserve valutarie.

La banca d’affari americana stima un cambio a 26, cioè grosso modo del -25% più debole di oggi, nel caso di “un forte impegno” ad adottare una politica monetaria ortodossa. Se così non fosse, il cambio contro il dollaro esploderebbe a 30, cioè la lira turca perderebbe un altro 35% rispetto ad oggi. E per quanto JP Morgan si astenga dallo scriverlo esplicitamente, il primo scenario si avrebbe con la vittoria di Kiricdaroglu, il secondo con la permanenza al potere di Erdogan.

Erdogan resta popolare in patria

I sondaggi, tuttavia, nel complesso danno un restringimento della forbice tra i due contendenti, sebbene il vantaggio di Kiricdaroglu rimarrebbe.

Tra l’altro, il presidente uscente ha in settimana dovuto annullare tutti gli impegni elettorali per 24 ore a causa di problemi di salute. In diretta TV si è sentito male, costringendo le telecamere ad allargare l’inquadratura. Una condizione fisica che non aiuta a proiettare la solita immagine di “uomo forte” della Turchia. Ad ogni modo, secondo una rilevazione do AI-Monitor realizzata in collaborazione con Premise Data, i due candidati sarebbero appaiati al 45% dei consensi con un leggerissimo vantaggio proprio per Erdogan.

Se è vero che c’è vistoso malcontento tra la popolazione verso la gestione dell’economia da parte del governo in questa fase, lo sfidante non sarebbe ad oggi riuscito ad accreditarsi come alternativa valida su questi temi. E il leitmotiv della campagna elettorale di Erdogan resta lo stesso da anni: “io vi ho dato il benessere, io ho modernizzato la Turchia, io ho creato la classe media e se esco di scena tornerete arretrati e poveri come prima”. Indubbi sono stati i progressi economici e persino geopolitici della Turchia nell’ultimo ventennio. Da economia marginale è diventata una potenza regionale di tutto rispetto. L’arretratezza più palpabile è stata sradicata grazie al boom economico sotto Erdogan.

Turchia lontana da Europa

Ma c’è un altro aspetto su cui noi europei dovremmo interrogarci. Molti di noi tifano sinceramente per lo sfidante di Erdogan nella convinzione che possa riportare più democrazia in Turchia e migliorare le relazioni diplomatiche con il Vecchio Continente. Stiamo ignorando un dato: ai turchi dell’Europa grosso modo non frega nulla. A testimoniarlo sarebbe proprio il sondaggio AI Monitor/Premise Data. Alla domanda su quale sia il paese straniero con cui Ankara dovrebbe avere relazioni più strette, il 34,7% risponde gli Stati Uniti, il 26,5% la Russia, il 23,4% la Cina, il 15,4% altri.

Anche supponendo con un pizzico di presunzione che tutti gli altri siano paesi europei, meno di un turco su sei guarderebbe a noi. Più di un terzo guarderebbe alla lontana America e metà della popolazione al blocco sino-russo.

L’Europa è uscita dalle priorità dei turchi da molti anni. L’eventuale fine dell’era Erdogan non muterebbe più di tanto il posizionamento geopolitico di Ankara. La Turchia non vuole trasformarsi nell’ancella di Bruxelles, bensì diventare un riferimento per il mondo mussulmano, dalla Libia al Medio Oriente. Avere affossato la lira turca a colpi di stamperie monetarie e inflazione alle stelle è stato il più tragico errore sin qui commesso da Erdogan in venti anni di governo. Ma non è stato casuale. Le sue velleità geopolitiche si fondano su grossi investimenti infrastrutturali che sembrano imitare i progetti colossali delle “petromonarchie” nel Golfo Persico. Uno tra tutti, la costruzione di Canale Istanbul. E poiché servono parecchi denari a debito, ad Ankara giova farseli prestare dal mercato a tassi miserrimi. Il killeraggio della lira turca è un effetto collaterale considerato accettabile dal “sultano”.

[email protected]