Per la lira turca è un buon momento. Rispetto ai minimi dell’anno, toccati a maggio, guadagna oltre il 10% contro il dollaro, attestandosi in queste ore a 5,55, vale a dire ai massimi da aprile. Diversi fattori stanno sostenendo la valuta emergente. Anzitutto, l’affievolirsi delle tensioni politiche interne, esplose con l’annullamento delle elezioni comunali a Istanbul di fine marzo, ripetute a giugno e che hanno esitato nuovamente la sconfitta per il partito di governo del presidente Erdogan. Secondariamente, l’inflazione scende nettamente rispetto ai massimi toccati nell’autunno scorso, offrendo alla banca centrale margini per tagliare i tassi.

Terzo, il taglio dei tassi della Federal Reserve e quello atteso della BCE inducono gli investitori a guardare con maggiore benevolenza alla Turchia.

Lira turca giù con le mani di Erdogan sui tassi, vediamo perché

A luglio, la banca centrale, sotto il neo-governatore Murat Uysal, ha tagliato i tassi di ben 425 punti base al 19,75%, grazie alla discesa dell’inflazione al 15,7% a giugno. Tuttavia, proprio il mese scorso la crescita dei prezzi interni è tornata ad accelerare per la prima volta dopo 10 mesi, segnando +16,65% su base annua e +1,36% rispetto a giugno. Non è stato un buon segnale, perché la stabilità del cambio si regge proprio sulla disinflazione in corso dell’economia, altrimenti viene meno il castello di carte creato dall’istituto per giustificare formalmente l’allentamento monetario, preteso dal governo senza se e senza ma, indifferentemente dalle condizioni macro.

Bond turchi allettanti con lira stabile

Eppure, non solo il cambio non sta risentendo di questa accelerazione, nemmeno i titoli di stato ne stanno soffrendo, con i rendimenti a 10 anni a restare poco sopra il 15% e quelli a 2 anni al 15,50%, rispettivamente sgonfiati di 520 e 1.010 punti base dai livelli di maggio e ai minimi gli uni dal marzo scorso e gli altri dal maggio del 2018. Dal canto suo, la banca centrale continua ad adottare misure non convenzionali di sostegno alla lira turca, che hanno tutto il sapore di controlli mascherati sui capitali.

Ieri, ha alzato di 100 punti base (1%) il coefficiente di riserva obbligatoria delle banche per i depositi in valuta straniera e allo stesso tempo ha abbassato di 100 bp all’1% il tasso di remunerazione per i depositi in dollari.

L’istituto cerca da tempo di rendere il meno allettante possibile i depositi in valute forti. Il presidente Erdogan ha più volte fatto appello alla popolazione a riconvertirli in lire, pur smentendo che abbia mai avuto in mente azioni coattive per indurre i risparmiatori a preferire la moneta domestica. Per fortuna di Ankara, la discesa del petrolio nei pressi dei 60 dollari al barile suona come una buona notizia sia per la lira turca che per i bond sovrani. Essendo un’economia importatrice di energia, la Turchia beneficia del mini-barile tramite una più bassa inflazione, cosa che tende a rafforzare il cambio e a rendere più interessanti i rendimenti elevati offerti dai suoi titoli, specie in una fase come questa, in cui nel mondo avanzato si è aperta una caccia disperata al rendimento.

Perché il maxi-taglio dei tassi in Turchia non ha colpito lira e bond

Affinché questa tregua sui mercati duri, è essenziale che Ankara non aumenti il livello dello scontro con gli USA, già alto per via dell’acquisto di missili S-400 dalla Russia, nel mirino dell’amministrazione Trump, che ha minacciato sanzioni ai danni di quello che resta formalmente un alleato della NATO. Serve un cambio stabile per indurre gli investitori ad acquistare bond turchi, perché la volatilità della lira minaccia il rendimento effettivo offerto. Grazie alle politiche monetarie ultra-espansive di USA, Europa e Giappone, per adesso sembra garantito. E il mercato prende nota e già medita di buttarsi nell’affare.

In fondo, anche con la risalita dell’inflazione a luglio, i tassi d’interesse reali restano in area 3%, impensabile in qualunque altra grande economia.

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