L’economia italiana non crescerà del 4,7% quest’anno, come era stato stimato nello scorso autunno dal governo Draghi. Né con ogni probabilità del 3,1%, come emerge dalla Nota al DEF di aprile. Le previsioni di crescita per il PIL si collocano intorno al 2,5% o anche meno, stando agli organismi internazionali e a quelli privati indipendenti. L’inflazione è la causa principale di questo forte rallentamento, che rischia di portarci in recessione già nel trimestre in corso. Nel primo trimestre, infatti, l’ISTAT ha certificato con la sua stima preliminare un calo congiunturale del PIL dello 0,2%.

Il crollo della bilancia commerciale

Non è difficile trovare l’anello debole della catena. Nei primi tre mesi dell’anno, la bilancia commerciale ha registrato un saldo passivo di 7 miliardi di euro, che si confronta con un attivo di 11,5 miliardi dello stesso periodo dell’anno passato. In altre parole, abbiamo registrato un peggioramento del saldo di circa 18,5 miliardi, qualcosa come oltre l’1% del PIL. In particolare, le esportazioni sono aumentate su base annua di circa il 23% a 145 miliardi e le importazioni del 43% a 152 miliardi.

La bilancia commerciale ha tenuto a galla l’economia italiana nei difficili anni prima della pandemia. In media, aveva esitato un avanzo del 3% del PIL, che in molti casi compensava l’apporto negativo della domanda interna aggregata. Quest’ultima, invece, per il momento è diventata la componente di forza della nostra economia. Ma inutile riporvi tanta fiducia. Essa si compone di consumi delle famiglie, investimenti delle imprese e spesa pubblica. E per le ragioni che vi spiegheremo, tutte e tre rischiano di passare in rosso, cioè di conclamare la recessione del PIL.

L’impatto dell’inflazione sulla domanda interna

L’alta inflazione inevitabilmente colpirà i consumi, anche perché gli stipendi stanno rimanendo fermi o aumentano molto poco. Il minore potere d’acquisto costringerà le famiglie a stringere la cinghia, ossia a ridurre i consumi di tutti i beni e servizi non strettamente necessari.

Ci sono da pagare bollette sempre più esose e quelle vengono prima di tutto il resto. A meno di attingere ai risparmi, che effettivamente sono cresciuti di circa 280 miliardi durante la pandemia. Ma risulta difficile credere che, dinnanzi a uno scenario così incerto, le famiglie vogliano intaccare la propria liquidità per finanziare i consumi correnti.

D’altra parte, proprio l’alta inflazione ha già fatto salire i tassi d’interesse. E saliranno ulteriormente nei prossimi mesi, quando la BCE avvierà la stretta monetaria. A quel punto, gli investimenti delle imprese freneranno. E necessariamente dovrà contenere la spesa pubblica anche il governo, ora che indebitarsi è diventato molto più costoso. Oltretutto, con la fine della pandemia (si spera) molti sussidi stanno già mostrandosi non più necessari. Nel giro di poco, quindi, la domanda interna dovrebbe indebolirsi e senza una bilancia commerciale che la compensi, la recessione sarebbe matematicamente assicurata.

PIL Italia a rischio recessione

E’ vero anche che la riduzione dei consumi farebbe contrarre le stesse importazioni, ma fino ad un certo punto. La componente energetica, che sta devastando i nostri saldi con l’estero, rimane essenziale. Non potremo fare a meno di petrolio e gas per alimentare gli impianti aziendali, riscaldare e illuminare le case, girare in auto e trasportare merci. Dovremmo solo auspicare che la congiuntura internazionale s’indebolisca al punto da farne crollare i prezzi, migliorando la nostra bilancia commerciale. Ma se ciò accadesse, anche le nostre esportazioni ripiegherebbero. In sostanza, schivare la recessione sarà un gioco di equilibrio non nelle nostre mani.

[email protected]