Lo chiamano il Sol Levante, perché è lo stato più ad est del mondo e il primo in cui sorge l’alba ogni giorno. E se il buongiorno si vede dal mattino, il Giappone ha preceduto di anni il resto del mondo avanzato sulla strada dei tassi azzerati e dello shopping senza freni di titoli da parte della banca centrale. L’Eurozona, in particolare, sembra sulla via della “giapponesizzazione”, mentre ad oggi più lontana resta l’America, che pur vivendo una fase anch’essa di straordinaria liquidità sui mercati, si mostra ancora semi-ordinaria agli occhi degli investitori.

Il Giappone da anni tiene i tassi di riferimento al -0,1%, cioè le banche ricevono denaro dall’istituto centrale per indebitarsi, segno tangibile di quel mondo al rovescio, dove chi ci rimette soldi è chi li presta.

Draghi starà attento ad allontanare la sindrome giapponese

Sin da inizio anni Novanta, il Giappone è entrato in una sorta di stagnazione secolare apparentemente senza fine. E dal 1997, essa è stata accompagnata dalla deflazione, un fenomeno non ancora del tutto attecchito nell’Eurozona, anche se potrebbe essere solo questione di tempo. Per porre fine al circolo vizioso tra prezzi calanti e produzione ferma, la Banca del Giappone si è imbarcata circa un ventennio fa in stimoli monetari non convenzionali, rastrellando titoli sul mercato, di fatto anticipando le pratiche di “quantitative easing”, al fine di iniettare liquidità e sostenere così i prezzi interni, anche indebolendo il tasso di cambio.

La lotta contro la stag-deflazione, però, non può dirsi vinta, se è vero che ancora oggi i prezzi nipponici continuino a crescere di meno dell’1% su base annua e il pil, ad eccezione di una breve fase di accelerazione tra il 2017 e il 2018, registri un aumento tendenziale tra zero e 1%. Nel frattempo, però, l’istituto ha ammassato assets per un controvalore di quasi 565.000 miliardi di yen al 30 giugno, qualcosa come oltre 5.200 miliardi di dollari, più del 100% del pil del Sol Levante.

Di questi, circa 466.000 miliardi di yen riguardano titoli di stato, cioè il 35,4% dell’intero debito sovrano. A seguire, troviamo 26.200 miliardi di azioni possedute tramite Etf e altri 800 miliardi direttamente, per cui la banca centrale qui possiede nei fatti il 4,5% dell’intero valore di capitalizzazione delle società quotate a Tokyo.

Mercato finanziario praticamente morto in Giappone

Anzi, essa figura tra i principali azionisti di ormai circa la metà delle società quotate, per cui è diventata a tutti gli effetti una mano piuttosto visibile anche sul mercato azionario. Il punto è che oggi il Nikkei-225 vale il 15% in meno dei livelli di inizio 1991. Dunque, non solo il governo, tramite la politica monetaria, compra azioni come un forsennato, ma il loro valore nemmeno aumenta stabilmente nel tempo, come pure ci aspetteremmo. Che cosa succede? In Giappone, proprio per l’ingombrante presenza delle autorità pubbliche, non esiste più nulla da comprare, o meglio, che valga la pena comprare.

La curva delle scadenze sovrane mostra rendimenti negativi fino ai 10 anni e per un bond a 40 anni non offre nemmeno lo 0,40%. Certo, oggi si presenta più generosa di quella tedesca, ma semmai ciò evidenzia quanto si stia velocemente giapponesizzando il mercato nell’Eurozona, partendo dalla Germania. Dunque, nessuno acquista più titoli di stato e in pochi scommettono anche sulle azioni, in quanto l’eccessiva liquidità iniettata dalla banca centrale le rende già care, anche se nessuno osa scommettervi contro, proprio in quanto sostenute dal QE nipponico. Dunque, il mercato qui è come in stallo, non sa cosa fare e a tratti fa capatine all’estero per ricavare valore; almeno fino ad oggi, avendo potuto confidare su rendimenti più alti altrove che in patria. Lo scenario sta mutando radicalmente, però, e Mario Draghi si accinge a concludere il suo mandato senza avere mai alzato i tassi BCE una sola volta.

La bolla giapponese rischia di travolgere i mercati finanziari di tutto il mondo

A Francoforte, l’aria di Tokyo è arrivata da tempo. Al 30 giugno, l’istituto deteneva assets per quasi 4.700 miliardi di euro, circa il 40% del pil dell’Eurozona. E il bilancio è destinato a espandersi con i nuovi acquisti sempre più scontati attraverso il secondo round di QE, quando già oggi oltre un quinto dell’intero debito pubblico nell’area si trova posseduto dall’Eurotower. In questo contesto, l’alieno sembra chi suggerisce di fissare un termine più breve alla lunga fase dei tassi azzerati, come la delfina della cancelliera tedesca, Annegret Kramp-Karrenbauer, che lamenta proprio in queste ore i danni accusati dai risparmiatori tedeschi in questo clima di tassi negativi. Voci solitarie, quasi essenzialmente presenti nel virtuoso nord del continente, che non freneranno il successore di Draghi, Christine Lagarde, dal completare l’opera di giapponesissazione dell’euro.

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