La Grecia non è più sottoposta all’assistenza finanziaria della Troika, il comitato dei creditori composto da UE, BCE e Fondo Monetario Internazionale. Un “nuovo inizio”, una “giornata storica” è stata definita quella di martedì da giornali nazionali, stranieri, politici e funzionari europei. Sarà, ma per dirla con le parole stavolta azzeccate dell’ex tragico ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis, “hanno creato un deserto e lo hanno chiamato pace”. La dipartita della Troika da Atene non coincide con la fine dei problemi per il popolo ellenico, così come il suo arrivo nel 2010 non fu l’inizio dei guai per la popolazione di oltre 11 milioni di abitanti.

Della crisi greca si è raccontato molto e detto di tutto e da più punti di vista, com’è anche corretto che sia, ma a latitare in ogni caso sembra essere stata la verità. Cosa sono i greci? Un popolo di fannulloni che ha vissuto e vorrebbe continuare a vivere sopra le proprie possibilità o le vittime di un’Europa matrigna, arcigna e tutta dedita a salvaguardare gli interessi della finanza, passando anche sopra le teste di milioni di uomini, donne e bambini?

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Capirete da voi stessi come le interpretazioni estreme poco si addicano a descrivere bene la realtà. Perché vogliamo tornare sulla Grecia? Semplicemente, perché trattasi di una ferita aperta e di una lezione non compresa da nessuna delle parti in causa, mentre l’attenzione dei mercati finanziari si è terribilmente spostata sull’Italia.

Gli errori della Grecia

Partiamo da una prima verità incontrovertibile: la Grecia aveva vissuto sopra le proprie possibilità fino allo scoppio della crisi finanziaria ed economica del 2008. Il benessere raggiunto dai suoi cittadini era stato ottenuto a colpi di spesa pubblica, ossia tramite un generosissimo e ingiusto sistema previdenziale (si poteva andare in pensione anche poco dopo i 50 anni di età), nonché un numero abnorme di dipendenti pubblici con retribuzioni crescenti ben oltre i ritmi osservabili nel resto delle economie avanzate.

Nei primi anni dall’ingresso dell’euro, gli stipendi pubblici aumentarono del 60% e ancora nel 2015, mentre il governo Tsipras s’insediava per combattere l’austerità fiscale, un pensionato greco percepiva mediamente un assegno mensile di oltre 900 euro, superiore a quello di un tedesco.

Si può vivere sopra le proprie possibilità? Certo, a debito, ma non all’infinito. Prima o poi arriva il conto da pagare ed è inutile che ci si alzi dal tavolo per raggiungere la porta d’uscita e cercare di scaricare agli altri il costo. Complici le rivelazioni sui bilanci truccati, il conto per Atene arrivò a inizio 2010 e fu presentato dai mercati finanziari, che le tolsero la fiducia. Qualcosa di simile accadde in Italia nel 1992, quando in corrispondenza all’esplosione dei rendimenti sovrani, la lira precipitò contro il marco tedesco e fu costretta ad uscire dallo SME, il sistema di cambio europeo allora vigente. Lo ricordiamo, perché nell’era social sembra che sia possibile spendere e spandere senza conseguenze, grazie alla moneta sovrana, che persino qualche politico di alto rango ritiene possa essere emessa in quantità infinite per salvaguardare i livelli di spesa pubblica. Concetti come inflazione appaiono ignoti a chi racconta simili corbellerie.

E passiamo alla seconda lezione incompresa: la crisi scatenata da un eccesso di debiti non si combatte facendo nuovi debiti. Alexis Tsipras e il suo braccio destro fino al luglio 2015, Varoufakis, ambirono a scardinare le ricette economiche europee nel segno dell’austerità, sostenendo un’alternativa d’impronta keynesiana evidentemente impraticabile. Se cerchi di combattere la crisi con ulteriori debiti, questi diverranno sempre più costosi e insostenibili per le finanze statali, a meno di non credere che la banca centrale possa intervenire per reprimere i costi senza che ciò abbia ripercussioni devastanti sull’economia.

E c’è chi avanza la teoria per la quale spendere equivale a crescere. Fosse così, Italia e Grecia dovrebbero dominare le classifiche mondiali della crescita del pil, mentre testimoniano l’esatto contrario.

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Gli errori della Troika

Infine, una tirata di orecchie anche ai creditori: ottenere tutto e subito non è realistico. Pensare che un’economia possa passare da un disavanzo fiscale al 15% del pil al pareggio di bilancio entro pochissimi anni e senza strozzare l’economia significa fuggire dalla realtà. In primis, perché il taglio della spesa impatta nel breve perioso sul pil in negativo; secondariamente, perché esso consegue alla realizzazione di riforme, i cui risultati non possono sempre essere immediati e che richiedono il più delle volte un cambio di mentalità dei cittadini-utenti-contribuenti. Lo stesso errore fu commesso nell’estate del 2011 in Italia, quando con una lettera inviata dalla BCE all’allora governo Berlusconi e che, in teoria, avrebbe dovuto restare segreta, Francoforte pensava che sarebbe stato possibile realizzare 39 riforme in poche settimane, tra cui quella delle pensioni, del lavoro, delle libere professioni, etc.

Realismo non significa lassismo. Invece, è accaduto che la Troika abbia perseguito obiettivi in Grecia velleitari, almeno nel breve termine, finendo per spendere ben 288 miliardi di euro per salvare un’economia, il cui pil in 10 anni è sceso da 240 a 180 miliardi. Un disastro, che sarebbe stato evitato anch’esso facendo uso del buon senso. Anziché sostituirsi tout court ai mercati, Bruxelles avrebbe potuto garantire con un impegno credibile (sì, forzando un po’ le regole!) le future emissioni di Atene dal 2010 in poi, dietro chiaramente il rispetto di un decalogo di riforme da seguire. Non avrebbe speso un centesimo, nel caso in cui gli investitori avessero recepito il messaggio finanziando il governo ellenico a condizioni accettabili e la Grecia avrebbe continuato a indebitarsi verso i creditori privati, attenendosi a una disciplina fiscale ben maggiore di quella mostrata per diversi anni dopo il primo salvataggio.

Finirà che dovremmo condonare parte dei debiti sostanzialmente divenuti inesigibili e che l’economia greca avrà bisogno di qualche decennio solo per tornare ai livelli di ricchezza del 2007. Più che un caso di successo, quello della crisi in Grecia sembra il perfetto esempio di follia al potere.

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