La riforma del catasto è passata al vaglio del Parlamento e, malgrado la tenue opposizione di Lega e Forza Italia, il governo Draghi è riuscito a incassare la revisione dei valori imponibili degli immobili. La casa resta nel mirino del premier, se è vero che il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa, ha reso noto che l’esecutivo starebbe discutendo, in sede di riforma fiscale, l’aumento della cedolare secca sugli affitti dal 21% al 23%. Un “suicidio” lo definisce il rappresentante della categoria, che sprona i due partiti del centro-destra e il Movimento 5 Stelle ad opporsi alla stangata.

A suo avviso, porterebbe a una “emergenza abitativa”.

La cedolare secca fu introdotta a partire dal 2011 dall’allora governo Berlusconi e consente ai proprietari di case di locarli a scopo abitativo versando allo stato il 21% dei canoni pattuiti con il locatario. Per i canoni concordati, soggetti a limitazioni, l’aliquota scende al 10%. Questo sistema impositivo è alternativo a quello ordinario, che consiste nell’assoggettare i canoni di locazione alle aliquote IRPEF, le quali attualmente vanno dal 23% al 43%. In cambio di questo sgravio, il proprietario non ha facoltà di adeguare i canoni all’inflazione ISTAT nel corso della durata del contratto.

L’aumento delle tasse non riguarderà solamente la casa, sebbene da qui arriverà un gettito extra non indifferente. Gli immobili fruttano annualmente allo stato 40 miliardi di euro tra IMU, imposte di bollo, di registro, ecc. Parliamo di circa 2,25 punti di PIL. Con la riforma del catasto, checché ne dica Mario Draghi, le aliquote (pur riviste eventualmente al ribasso) insisteranno su una base imponibile più che doppia. Sarà così che il governo italiano – e non solo – cercherà di fare cassa dopo l’esplosione dei debiti provocata prima dalla pandemia e adesso dalla guerra.

Più tasse contro l’inflazione

Il nemico numero uno si chiama inflazione. C’è troppa liquidità in circolazione, tra banche centrali che acquistano bond e governi che spendono in deficit.

Nel frattempo, la produzione di beni e servizi è diminuita per risalire lentamente. Ciò sta facendo esplodere i prezzi di materie prime, beni di consumo e servizi. A meno di ipotizzare un taglio drastico e immediato degli stimoli monetari e fiscali, l’unica soluzione alternativa fiutata dalle cancellerie è di aumentare le tasse. Così facendo, trovano un modo semplice per drenare liquidità dal mercato e risanare i conti pubblici. Le patrimoniali sono le tasse ideali: non interferiscono con le abitudini di consumo e le decisioni sui livelli di produzione. Inoltre, stangano i contribuenti senza che possano sfuggirvi, specie nel caso di beni immobili e, comunque, dichiarati o registrati.

L’aumento delle tasse ci sarà, in Italia colpirà particolarmente le case e a farne le spese direttamente saranno i proprietari di uno o più immobili. Non possiamo escludere ulteriori stangate a carico dei risparmiatori, forme mascherate di prelievo forzoso come l’aumento dell’imposta di bollo sui conti correnti, deposito e titoli. E con la scusa di combattere l’inquinamento, anche il bollo auto lieviterà a carico dei veicoli a motore di cilindrata più grossa, così come sulle imbarcazioni. Infine, la stretta sul contante diverrà ancora più pressante e anche i lavoretti in nero per sbarcare il lunario saranno sempre meno possibili. Gli stati hanno fame di entrate e non hanno intenzione di ridurre le spese, attraverso le quali controllano il consenso.

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