La crisi dell’economia italiana sarà terribile, come nel resto del mondo avanzato. Unicredit ha definito quella in corso “la madre di tutte le recessioni” e il bilancio parrebbe a dir poco pesante. Il pil nel nostro Paese crollerà quest’anno del 15%, più del 13% medio dell’Eurozona. Ci supererebbero solo Grecia (-18,6%) e Spagna (-15,5%). Per l’anno prossimo, il rimbalzo sarebbe solo parziale. Cresceremmo del 9%, ma ciò significherebbe restare indietro rispetto ai livelli di pil reale del 2019 di oltre il 7%.

E l’aspetto più increscioso risiede nel fatto che già ci siamo presentati all’appuntamento con la crisi con un’eredità piuttosto pesante, cioè avendo ancora 4 punti di pil da recuperare per riagganciare i livelli di ricchezza del 2007. Facendo due conti, l’Italia tornerebbe indietro di oltre un ventennio, in termini di pil reale, alla fine degli anni Novanta.

Sarà depressione economica ed esplosione del debito

I numeri dei conti pubblici appaiono ancora più drammatici. Unicredit stima il deficit a fine anno al 12,2% e il rapporto debito/pil esploderebbe al 167%. Certo, la Francia salirebbe anch’essa al 123,4% e la Spagna al 126,3%, ma tornando a ragionare in termini di crescita prospettica, il vero guaio sarà per l’Italia l’incapacità di rendere sostenibile il suo livello di indebitamento per un pil che continuerebbe ad aumentare, superata la crisi, a ritmi stagnanti.

Urge un ripensamento dell’Italia o sarà catastrofe. Le istituzioni repubblicane post-belliche difficilmente sopravviveranno a una crisi di questa portata e senza che ai cittadini venga offerta la prospettiva di un rapido sollievo dalle difficoltà quotidiane e per un miglioramento futuro visibile e veloce. Non è un caso che lo stesso presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, rivolgendosi agli italiani nelle scorse settimane, abbia parlato di “ricostruzione”. Il termine viene solitamente associato ai periodi di uscita dalle guerre. Quella in corso non è una guerra, mentre i suoi effetti devastanti sul piano economico, ma anche di credibilità del sistema Paese, lo sono.

Istituzioni italiane al collasso

Il Coronavirus forse è diventato quell’incidente della storia capace di farci uscire da un “loop” in cui sembravamo essere rimasti imprigionati negli ultimi 20 anni, con la politica a dividersi sul modo di relazionarsi con l’Europa, sull’euro e sulla stessa natura delle istituzioni, con due riforme costituzionali bocciati per via popolare e una ancor prima abortita in Parlamento poco prima che nascesse. L’Italia che emerge da questa emergenza sanitaria è quello che sapevamo essere: cittadini che si arrangiano, categorie professionali (medici e infermieri, in questo caso) a fare il loro dovere a fronte di inefficienze e ristrettezze, mentre lo stato fa mancare il suo apporto e di distingue per la sua unica capacità di mettere il bastone tra le ruote a chi vorrebbe produrre mascherine e da settimane attende un timbro dell’Istituto superiore della sanità o a chi si è dimostrato capace di costruire in tempi record (in stile Wuhan) un ospedale da campo presso la Fiera di Milano.

La potente crisi italiana in cifre

La grande stampa cerca di addolcire la pillola, evocando la nostra ben nota capacità come Italia di riprenderci nei momenti di estrema difficoltà. E’ vero, come popolo diamo il meglio di noi quando le cose si mettono seriamente male, ma ciò non minimizzerà affatto le conseguenze disastrose della pessima politica degli ultimi decenni. La disoccupazione salirà ai nuovi massimi storici, torneranno scene di miseria, specie in quel Meridione volutamente dimenticato da tutti i governi e in cui l’assistenzialismo è diventato unico modello di pensiero per istituzioni rivelatesi non all’altezza della storia di questo Paese. La rabbia sociale monterà ogni settimana di più e non saranno né i bonus e né i buoni per la spesa ad attenuarla.

UE ed euro al capolinea

L’inadeguatezza delle istituzioni italiane si paleserà sempre più insostenibile per un’Italia sempre più insofferente. Urge riscrivere le regole del gioco, rimettere mano a quella Carta fondamentale, che da quasi mezzo secolo mostra tutti i suoi limiti, non essendo stata in grado di garantire governabilità e un assetto istituzionale efficiente, con stato, regioni ed enti locali nella confusione più totale quando si tratta di gestire l’ordinario, nel panico e in pieno conflitto nelle situazioni di emergenza. Siamo tutti sulla stessa barca, si direbbe. Se Roma piange, Berlino e Parigi non ridono. Vero, ma il virus ha colpito un’Italia già malata, debolissima, mentre l’economia tedesca o quella francese (pur un po’ meno) erano perlomeno in buona forma.

La fine dell’euro nel messaggio in codice di Mattarella a Bruxelles

Non ci potrà essere alcuna vigorosa politica di austerità fiscale dopo l’emergenza, per quanto il risanamento dei conti pubblici diverrebbe teoricamente una priorità ancora più assoluta di quanto non lo sia stata già da inizio anni Novanta. Tuttavia, in un clima depresso non si potrà né tagliare la spesa pubblica, né aumentare le entrate, anche perché queste sono già a livelli incompatibili con la tenuta dell’economia in tempi normali, figuriamoci dopo questa caduta. Dunque, o l’Europa capisce che il debito italiano debba essere messo al sicuro attraverso azioni straordinarie che coinvolgano la BCE, ma anche la Commissione UE per la ricerca del veicolo più idoneo a garantirne la solvibilità, oppure stiamo dirigendoci senza più alcun dubbio verso la disintegrazione delle istituzioni comunitarie, che alla prova dei fatti si sono dimostrate molto più incapaci di quelle nostrane nel dare risposte ai cittadini.

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