Agosto non ha portato alcun sollievo all’Eurozona. L’inflazione, anziché stabilizzarsi o arretrare, ha continuato a salire fino a superare il 9%. Negli USA, un timido rallentamento c’è stato, ma gli analisti invitano a non farsi illusioni: i prezzi al consumo resteranno alti per un periodo più lungo del previsto. Nel Regno Unito, paventa Goldman Sachs, potrebbero esplodere fino al 22,4% nel 2023. Siamo alla catastrofe economica. Le famiglie si barcamenano tra una bolletta e l’altra, in attesa che l’inverno porti tragiche novità.

Le imprese sono al collasso. Pagano l’energia anche per una decina di volte il costo di un anno fa e molte rischiano di chiudere. Il cerino è tutto nelle mani delle banche centrali, sulle quali ricade la gravissima responsabilità di non avere saputo prevedere gli eventi per tempo e reagire adeguatamente. Ai governi va persino peggio: sono quasi impotenti dinnanzi all’inflazione alle stelle e, per giunta, nel mirino delle rispettive opinioni pubbliche.

Powell sdogana crisi contro inflazione

La scorsa settimana, il governatore della Federal Reserve, Jerome Powell, ha sorpreso il mercato quando ha spiegato che, pur di battere l’inflazione negli USA, sia disposto a mandare in recessione l’economia americana. Più chiaro di così non poteva essere. Tra le banche centrali, la FED è messa meglio di tutte. In primis, perché l’inflazione americana in buona parte è causata dall’alta domanda. Secondariamente, ha già alzato i tassi d’interesse al 2,50% e a settembre li porterà quasi certamente al 3,25%. Inoltre, il dollaro si rafforza e, fino a un certo punto, contiene l’inflazione importata.

La BCE se la passa peggio di tute. Ha appena iniziato ad alzare i tassi e già teme la recessione dell’economia. Inoltre, l’alta inflazione nell’Eurozona scaturisce perlopiù dall’aumentato costo dell’energia, che a sua volta dipende essenzialmente dalla “guerra” in corso tra Russia ed Europa.

La prima usa il gas come arma, chiudendoci i rubinetti e facendo così esploderne il prezzo. La speculazione ci marcia e pian piano sta rincarando un po’ tutto, perché produrre e trasportare merci ed erogare servizi costa sempre di più. Dulcis in fundo, il cambio euro-dollaro è collassato sotto la parità, “riscaldando” ulteriormente l’inflazione.

Banche centrali puntano a recessione controllata

Così come Powell ha sentito l’esigenza di paventare la crisi economica contro l’inflazione, ben presto saranno costrette a farlo le altre banche centrali. La ragione è semplice: solo se i mercati si convincono che stiamo andando a gambe per aria, inizieranno a speculare meno al rialzo sulle quotazioni delle materie prime. Smetteranno di comprare gas a prezzi stellari e sconteranno un prezzo calante anche per il petrolio. Gradualmente, tali aspettative spingerebbero in basso tutti i prezzi e arresterebbero (si spera) la corsa dell’inflazione.

Ma gridare all’arrivo della crisi non è come prevedere la pioggia. Se non ha da piovere, non pioverà di certo neppure se lo profetizzassimo in milioni di persone. Invece, se molti di noi si convincono che ci sarà crisi, questa prima o poi arriverà. Come? Tramite le aspettative. Gli investimenti andranno giù, così come i consumi. Le imprese ridurranno la produzione e assumeranno di meno o rinvieranno del tutto le assunzioni. L’economia si avvita verso il basso. L’inflazione magari recede, ma ci sarà per l’appunto questo prezzo da pagare. E le banche centrali si sono messe in testa che, anziché attendere che la corsa dei prezzi travolga le economie, meglio sarebbe anticiparne la fine puntando a una recessione “controllata”. Resta il fatto che, se il controllo sarà come quello avvenuto nei mesi passati, che qualcuno di guardi da lassù.

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