Il tema del lavoro e del tasso di disoccupazione è molto attuale in questo momento storico in cui si parla spesso di reddito di cittadinanza. Secondo Confindustria, tra il 2019 e il 2021 saranno circa 200mila le posizioni di lavoro qualificate disponibili sul mercato nei settori meccanica, Ict, alimentare, tessile, chimica, legno-arredo ma una su tre rischia di restare vuota. Il motivo?! Mancherebbero i talenti o personale con competenze adatte tanto che alcune aziende si rivolgono agli stranieri.

Il lavoro c’è o non c’è, l’eterno dilemma

Fino al 2023, secondo Unioncamere, grazie alla rivoluzione digitale, i posti di lavoro saranno tra 2,5 milioni e 3,2 milioni tutti o molti legati al settore digitale appunto o green jobs.

Si parla in ogni caso di lavori per cui saranno richiesti alti profili ma è anche vero che non mancano, sulla carta, proposte di lavoro aperte a tutti. Secondo i dati di Excelsior Unioncamere sono molti i ristoranti o bar italiani che cercano camerieri o aiuto cuoco, spesso introvabili. La differenza con l’estero è netta, infatti per un posto da cameriere in un locale ci sarebbe la fila, in Italia no. Ma la colpa di chi ? Sempre se si può parlare di colpe. L’Italia è uno dei paesi in cui è necessario investire maggiormente in misure di politica attiva del lavoro che puntino alla formazione quando si parla di posizioni con high skill ma è anche vero, parlando di lavori “comuni”, che non di rado il problema è alla radice. All’estero c’è appunto la fila per fare i camerieri o i baristi, in Italia quei lavori considerati “meno qualificati” come i pizzaioli, camerieri, addetti alle pulizie etc etc sembrano introvabili in molti casi.

Sono ancora una volta i lettori a raccontarci la loro esperienza e aprire una riflessione su quest’eterna diatriba: il lavoro c’è ma non ci sono candidati competenti o candidati disposti a fare qualsiasi lavoro o il problema di base sono le condizioni di lavoro? Il fatto che nel nostro paese gli stipendi siano sotto la media europea, lo sfruttamento e le garanzie sempre meno la dice lunga sul fatto di avere una veduta molto più ampia di tutto il problema.

Il punto di vista dei lettori

“Nell’azienda in cui ho lavorato e della quale ho portato a conoscenza la mia testimonianza ci sarebbe da dire molto di più, come la condizione e lo stipendio di un giovane ragazzo extracomunitario, senza parlare di altro… ma vorrei raccontarvi della mia esperienza come colf nel mio paese. Tempo fa, mi avvicina una persona di mia conoscenza che mi chiede, ( sapendo che mi trovavo senza lavoro), se avessi voluto accompagnare suo padre, anziano con difficoltà di deambulazione, in giro in macchina, per farlo uscire di casa per qualche ora al giorno (dunque di fare da autista per lui). Inizialmente, il mio datore di lavoro stabilì unilateralmente una cifra pari a tre euro ad ora (tanto, “a portare la macchina che ci vuole”, il virgolettato sono parole sue ed il suo parametro era un’azienda i cui lavoratori vengono letteralmente sfruttati per una paga di 20 euro giornalieri); quando, in seguito, le mie mansioni si sono ampliate, poiché aiutavo la persona, accompagnandola in bagno, quindi con pulizia, bidet, cambio pannolone, …), dopo un periodo stabile nel mentre del quale era sicuro che le mie mansioni si fossero ampliate (quindi non si trattava di atti singoli, sporadici), chiesi un piccolo aumento (neanche il contratto come colf/badante, il quale per l’esattezza prevedeva una paga oraria per la mansione di autista, di poco inferiore ai 6€/ora) ad una cifra oraria di €4,50/ora. La risposta, dopo una lunga contrattazione, è stata: al massimo €3,50 per ora, sempre senza contratto, con un risentimento da parte della moglie dell’interessato, che la portò a non rivolgermi più il saluto, per parecchie settimane, risentita perché un ragazzo poco più che trentenne fece notare i propri errori ad una persona di 70 anni.

Risultato finale? Niente contratto. Niente aumento (neanche i 50 centesimi prospettati dallo stesso datore di lavoro), con conseguente diminuzione di stima nei miei riguardi (capirai! questa sarebbe tra le famiglie più stimate del paese, mah! La signora, dimenticando le proprie umili origini, si è lasciata incantare dall’inganno del denaro, che ti fa credere che con i soldi puoi fare tutto (come ultimamente pretende di andare insegnando una nostra parlamentare italiana ai bambini di scuola elementare), al punto anche di calpestare un tuo simile. Le conseguenze traetele voi.

Se poi vi dicessi quale carica pubblica ha rivestito in questi ultimi cinque anni, chi mi ha messo a lavorare, a qualcuno potrebbe venire il vomito.

L’art 1 della nostra Costituzione repubblicana, recita così: l’Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro.

Un detto dice che il lavoro dà dignità all’uomo.

Con questi due esempi di esperienze lavorative (soprattutto dell’impresa vinicola di cui vi ho parlato la prima volta), si assiste a questo fenomeno: il lavoro ti dà dignità, il tuo datore di lavoro te la toglie derubandoti del tuo tempo e della giusta paga che ti spetterebbe.

L’art 36 della Costituzione della Repubblica italiana recita al primo comma: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione PROPORZIONATA alla quantità e qualità del suo lavoro e IN OGNI CASO SUFFICIENTE AD ASSICURARE A SÈ E ALLA FAMIGLIA UN’ESISTENZA LIBERA E DIGNITOSA.

Il Fondamento costituzionale di tale articolo di legge, collocato nel Titolo terzo, denominato Rapporti economici, della Parte prima che tratta dei DIRITTI E DOVERI DEI CITTADINI, trova la propria solida base, almeno in linea di principio nei PRINCIPI FONDAMENTALI espressi nei primi articoli della Costituzione italiana: Art 2, primo comma, “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo “; Art 3, primo comma, ” Tutti i cittadini hanno PARI DIGNITÀ SOCIALE e sono uguali davanti alla legge, SENZA DISTINZIONE di sesso, di razza,  di lingua, di religione, di Opinioni Politiche, DI CONDIZIONI PERSONALI E SOCIALI.

Considerato che il datore di lavoro in questione ( a quel tempo era candidato sindaco, e poi lo diventò), non oso immaginare come abbia potuto gestire la cosa pubblica, se nei rapporti tra privati ha calpestato di fatto, (facendo letteralmente buon viso e cattivo gioco), tali su menzionati Diritti Fondamentali del cittadino lavoratore, ripetutamente.

Per la precisione, anche qui si tratta di una famiglia facoltosa, benestante, non al pari dei proprietari dell’impresa vinicola, ma comunque a un buon livello (media borghesia).

A questo punto, dove sembra che il lavoratore abbia lambito quasi la “fessitudine”, si può parlare di persone che non hanno voglia di lavorare nonostante ci sia il lavoro?

Il lavoro non sarà sovrabbondante (altrimenti non ci sarebbero disoccupati). Altrettanto non si può dire che manchi la voglia e la buona volontà di lavorare. In ogni caso generalizzare  e fare ” di tutta l’erba un fascio” è anche un errore. Non tutti i datori di lavoro sono uguali e non tutti i lavoratori sono uguali. Ciò che potrebbe accomunare e gli uni e gli altri è il volere sempre di più senza mai accontentarsi. Da un lato Il datore di lavoro quando non riconosce il giusto al lavoratore ( sotto ogni punto di vista) ed il dipendente che non corrispondendo pienamente ai propri doveri,  fa sì che secondo quel processo di generalizzazione, si possano poi innescare processi legislativi che penalizzano anche coloro che fanno il proprio dovere e nonostante tutto si vedono privare delle proprie giuste garanzie sociali (vedi ad esempio l’abrogazione dell’ art 18 Statuto dei lavoratori).”

Leggi anche: Lavoro che non si trova, l’amaro sfogo di un lettore: ‘Chi è che non ha voglia di lavorare?!’

“Sono un ingegnere edile e quest’anno compio 35 anni. Purtroppo a questa età ancora non sono riuscito ad avere uno stipendio decente da potermi garantire una certa indipendenza, nonostante ci metta tutta la mia buona volontà e voglia di lavorare.

Ho sempre dato il massimo di me sia negli studi che nel lavoro, basti pensare che mi sono diplomato a geometri con il massimo dei voti e con soli 4 giorni di assenza in tutti i 5 anni di scuola (mi definivano studente modello); tutto ciò è continuato sia all’università che nel mondo del lavoro. Durante i corsi universitari andavo negli studi tecnici a fare un pò di pratica senza però ricevere niente in cambio, ma ciò poteva anche starci visto che mi cimentavo per la prima volta nel mondo del lavoro.

Col passare degli anni ed anche dopo la laurea ed abilitazione alla professione, ho cambiato molti studi tecnici, ma nonostante sia diventato autonomo nello svolgere tutto l’iter della progettazione fino all’esecuzione in cantiere, non ho trovato uno studio che mi abbia garantito uno stipendio decente.

La maggior parte degli studi non assumono dipendenti perché debbono pagare più tasse, e perciò cercano solo collaboratori con partita iva o tirocinanti; ciò serve solo per essere in regola con il fisco, ma la sostanza non cambia perché non pagano o se pagano danno stipendi che possono arrivare, se si è fortunati, a 5 euro al giorno. Non si definisce caporalato?

Dopo l’università ho vissuto i peggiori anni della mia vita e tutt’ora ancora oggi con un costante aumento di delusioni e stipendi da fame.

Ho provato più volte a cambiare settore, ma il problema è sempre lo stesso; bisogna lavorare duramente con turni di lavoro che superano le 8 ore lavorative con stipendi di 500/600 euro al mese. Quando avevo perso le speranze, nel 2016 si verifica, purtroppo il sisma del centro Italia; ma da questa data tutti gli studi si sono mossi alla ricerca di collaboratori con esperienza, perché lavorare alla ricostruzione post-sisma comporta una grande mole di lavoro, ma anche grandi guadagni. Io ho collaborato con uno studio, lavorando con professionalità e precisione nel rispetto delle normative vigenti; purtroppo dall’estate scorsa ho lasciato lo studio, perché ho dovuto solo affrontare spese non ricevendo alcun rimborso spese da parte dello studio. Ora nello stesso studio mi sostituiscono in 5, il titolare mi ha riferito che preferisce me, ma io ho dovuto ribattere che non posso continuare a lavorare senza ricevere un minimo di stipendio per potermi “sfamare”. A parte lo sfogo sopra, la cosa più recente capitata proprio ieri e consona al suo articolo è che ho dovuto dimettermi dal ruolo di ispettore di cantiere per un’opera pubblica di circa 1 milione di euro. (L’ispettore di cantiere è una figura che è sempre presente in cantiere e deve seguire le lavorazioni step by step, oltre alla contabilità ed altri impegni).

Lo studio dove collaboravo mi ha offerto circa 1000 euro affinché svolga il ruolo di ispettore di cantiere fino alla fine dei lavori, cioè tra circa 9 mesi se tutto va bene.

Ho subito rifiutato l’incarico senza ripensamenti.

Per mia esperienza ho sempre messo buona volontà, onestà e professionalità in ogni lavoro, ma quando devo ricevere un compenso umiliante, preferisco andarmene al mare, almeno ne guadagno in salute.

Ora quello che  mi chiedo è questo: i giovani davvero non hanno voglia di lavorare o sono sottopagati?

Le cose credo che stiano cambiando in fretta, perché molti hanno seguito il mio esempio ed i laureati nel settore dell’edilizia cominciano a scarseggiare, quindi mi auguro solo che gli studi aprano gli occhi e cambino il loro atteggiamento nei confronti dei giovani.”

Leggi anche: Mercato del lavoro in Italia e i suoi mille problemi: le opinioni dei lettori

 

Se volete dire la vostra scrivete a [email protected]

Pubblicheremo le vostre considerazioni.