Il mondo intero si è chiesto una settimana fa perché la Schweizerische National-Bank (SNB), la banca centrale svizzera, avesse così repentinamente abbandonato il cambio minimo tra il franco svizzero e l’euro di 1,20, fissato 40 mesi prima e sempre strenuamente difeso. Ieri, uno dei membri del board elvetico, Fritz Zurbruegg, ha fornito una spiegazione che vale più di mille riflessioni: quel cambio non era più sostenibile. Spiega il banchiere che la SNB ha stimato che nel solo mese di gennaio avrebbe dovuto spendere 100 miliardi di franchi per acquistare euro e mantenere così il “floor”.

Ogni giorno, ha dichiarato, l’istituto doveva intervenire con acquisti sempre maggiori e che stavano diventando esponenziali, senza che s’intravedesse la fine di tutto ciò. Ormai, sempre Zurbruegg, il costo delle operazioni era superiore al beneficio di mantenere una tale politica monetaria.   APPROFONDISCI – Perché la Svizzera non ha più difeso il cambio minimo e nessuno se lo aspettava?  

La Svizzera stabilizza il cambio

E da quando giovedì scorso la SNB ha annunciato la fine del cambio minimo, l’euro ha perso il 17,7%, portandosi da 1,20 a 0,9875 contro il franco svizzero. Ciò che è importante per l’istituto elvetico è che ieri, dopo il varo del QE della BCE, il rapporto di cambio tra le due valute si è mantenuto stabile, anzi paradossalmente il franco ha ceduto qualche decimale di punto. In sostanza, la fine del “floor” è stata dolorosa come impatto, ma starebbe funzionando nello stabilizzare i flussi dei capitali tra l’Eurozona e la Svizzera.   APPROFONDISCI – Svizzera, a rischio la reputazione della SNB. Perché ha abbandonato il cambio minimo?   E sempre ieri, la banca centrale della Danimarca, guidata dal governatore Lars Rohde, ha tagliato nuovamente i tassi sui depositi overnight a -0,35%, abbassandoli di 15 punti base rispetto al lunedì, quando erano stati portati da -0,05% a -0,20%.

Il taglio dei tassi già negativi è stato maggiore alle attese, ma due interventi in 4 giorni segnalano il nervosismo dell’istituto, che avrebbe venduto corone per 50 miliardi (7,7 miliardi di dollari) dal 15 al 20 gennaio, stando agli analisti di Svenska Handelsbanken, un decimo del valore delle intere riserve valutarie, al fine di evitare che la valuta locale si apprezzi eccessivamente e che ciò metta in pericolo il “peg” ultra-trentennale c0n l’euro. Copenaghen ha fissato dal 1982 l’aggancio alle divise europee, tradotto in un cambio di riferimento di 7,46038 contro l’euro, più un margine di tolleranza del 2,5%, sebbene l’istituto non consenta nei fatti una variazione superiore all’1%.   APPROFONDISCI – La Danimarca sotto pressione sul cambio taglia i tassi e conferma il peg dopo la SNB La Danimarca taglia le stime di crescita e paventa tassi più bassi contro il QE di Draghi   Dopo che la Svizzera ha annunciato la fine del cambio minimo con la moneta unica, la corona danese è stata messa sotto pressione, perché gli investitori stranieri avvertono che lo stesso potrebbe accadere anche in Danimarca, nonostante le vigorose smentite del governo e del governatore.

Peg danese a rischio

Anche la Danimarca è considerata un porto sicuro per i capitali, grazie anche alla tripla A di cui godono i suoi bond governativi. Questo ha già spinto ingenti flussi di denaro in ingresso verso l’economia scandinava nel 2012, quando la banca centrale fu costretta per la prima volta ad adottare i tassi negativi ne luglio di quell’anno, al fine di disincentivare gli afflussi. Nell’aprile del 2014, l’istituto aveva riportato i tassi overnight sopra lo zero, dopo la fine della crisi dell’Eurozona, ma a settembre ha dovuto reintrodurli, in seguito al prevedibile varo del QE della BCE, che ha spinto da mesi gli investitori a cercare nuove aree sicure dove portare i capitali.

Per quanto sembri effettivamente ferrea la volontà di Rohde di difendere il “peg” a ogni costo, senza un possibile intervento della BCE, la banca centrale danese potrebbe non riuscire nell’intento. A differenza della Svizzera, però, che aveva introdotto il cambio minimo unilateralmente, il cambio di riferimento tra corona danese ed euro è previsto da un accordo bilaterale, un fattore che ci spinge a ritenere che in caso di emergenza, Copenaghen chiederà il sostegno di Francoforte.   APPROFONDISCI – La Scandinavia reagisce a Draghi. Segnali di allerta da Danimarca, Svezia e Norvegia