Vi immaginereste di avere una cassa piena di tesori e non poterla nemmeno aprire? Sarebbe una tortura psicologica. Una situazione simile la sta vivendo la banca centrale svizzera (SNB), che ha messo a segno nei primi nove mesi di quest’anno un profitto record di 33,7 miliardi di franchi, dopo avere chiuso il terzo trimestre con un risultato positivo di 32,5 miliardi. Considerando che nei primi sei mesi dell’anno, l’istituto aveva registrato un profitto di 1,2 miliardi, frutto di +7,9 miliardi dei primi tre mesi e di una perdita di 6,7 miliardi nel secondo trimestre, il saldo al 30 settembre è stato, appunto, di 33,7 miliardi, pari al 5% del pil, ovvero a quasi 4.000 franchi per ciascuno dei residenti svizzeri.

A titolo di confronto, con 93 miliardi di dollari di profitto segnati nel 2016, la Federal Reserve ha maturato un reddito positivo di 10 volte più basso in rapporto al pil americano.

Tre sono stati gli elementi che hanno contribuito al risultato: l’indebolimento del franco svizzero, il rialzo delle quotazioni azionarie e dei bond e il miglioramento delle quotazioni dell’oro. La SNB detiene riserve in valuta straniera per 747 miliardi, una cifra superiore persino a quella del pil elvetico, frutto di anni di interventi attivi sui mercati per indebolire il cambio e sostenere così sia le esportazioni che la stabilità dei prezzi interni. (Leggi anche: Franco svizzero resta sopravvalutato, ma Zurigo cambia tono)

Nel dettaglio, 14 miliardi di utile sono legati all’aumento dei prezzi delle azioni detenute e 10,5 miliardi al franco più debole, che ha innalzato il valore degli assets in valuta straniera. Il cambio elvetico ha ceduto il 5% contro l’euro nel solo terzo trimestre e più del 7,5% dall’inizio dell’anno ad oggi, in gran parte per l’allentamento delle tensioni geopolitiche nell’Eurozona, che avevano dirottato svariati miliardi di capitali in Svizzera, alla ricerca di un porto sicuro.

E nel periodo luglio-settembre, 1,93 miliardi di franchi di utile sono arrivati dall’incremento di valore delle riserve auree, mentre 520 milioni dall’imposizione di tassi negativi sui depositi superiori a una certa cifra delle banche.

Il dilemma della banca centrale svizzera

All’inizio del 2010, quando il cambio tra euro e franco svizzero era ancora di quasi 1,50 contro gli 1,16 attuali, la SNB possedeva riserve valutarie per appena 100 miliardi. Da allora, prima impegnandosi a sostenere un cambio minimo di 1,20 contro l’euro e dal 2015 attivandosi per impedirne un eccessivo rafforzamento dopo il suo abbandono, gli assets in valuta straniera acquistati sono letteralmente esplosi. Tuttavia, nel primo semestre del 2015, quando il franco si era apprezzato contro tutte le altre divise e di quasi il 12% contro l’euro, l’istituto riportava una maxi-perdita di 50 miliardi, determinata principalmente proprio dalla riduzione di valore degli assets in valuta straniera.

Ora, teoricamente la SNB dispone di azioni e obbligazioni investite negli USA e nell’Eurozona, in particolare, registrando plusvalenze teoriche, che sembrano destinate a restare tali. Infatti, se il governatore Thomas Jordan volesse monetizzare tali guadagni, dovrebbe vendere parte degli assets in possesso, ma ciò determinerebbe un rafforzamento del franco svizzero, che è esattamente quello che l’istituto vorrebbe evitare. D’altra parte, se le riserve restano intatte, la SNB si espone al rischio di perdite future per via del ripiegamento delle quotazioni sui mercati internazionali.

C’è, poi, un’altra questione non meno interessante: fino al 2020, Zurigo si è impegnata a corrispondere al governo confederale e ai 26 cantoni un dividendo complessivo massimo di 2 miliardi di franchi, mentre altri 1,5 miliardi al massimo potranno andare agli azionisti privati. E così, su un risultato positivo di 24 miliardi nel 2016, al governo centrale sono andati appena 580 milioni. Dunque, dell’utile di 33,7 miliardi solamente nei primi 9 mesi dell’anno, la SNB potrà distribuirne meno del 10%.

Il resto? Aumenterà le sue dimensioni patrimoniali, cosa che si riflette positivamente sul valore delle azioni della banca, quotata in borsa per il 45% del capitale, esploso di quasi il 145% dalla fine di marzo ad oggi. Vero è che a detenere i titoli della SNB sono quasi tutti investitori istituzionali, cosiddetti cassettisti, per cui gli scambi si mostrano poco liquidi, ma evidentemente qualcuno sta approfittando da mesi di questi maxi-profitti teorici, acquistando le azioni con la speranza o di rivenderle a un prezzo più alto o di un cambio di regole in futuro, che consenta alla banca centrale svizzera di essere più generosa con i suoi soci. (Leggi anche: Azioni banca centrale svizzera volano)